domenica 31 maggio 2015

Slalom gigante per le agevolazioni assunzioni....


La presenza, per il 2015, dell’esonero contributivo triennale previsto dal comma 118 dell’art.1 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 ha riproposto all’attualità la possibilità di gestire con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato prestazioni di lavoro svolte con strumenti giuridici diversi, in particolare in riferimento ad amministratori, soci e familiari. Non solo: l’inizio della stagione estiva potrebbe portare all’utilizzo del part time ciclico a tempo indeterminato, in luogo del tradizionale contratto a termine stagionale.
 Al di là della convenienza, è opportuno analizzare in modo approfondito gli elementi sostanziali della configurabilità del lavoro subordinato a tempo indeterminato nei casi sopra riportati, e non solo le condizioni previste per beneficiare dell’esonero.
Quest’ultime, in estrema sintesi, prevedono che alle assunzioni effettuate nel periodo 1° gennaio 2015 - 31 dicembre 2015 sia riconosciuto, per un periodo massimo di trentasei mesi, l’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di 8.060 euro su base annua.
Non sono esonerabili le assunzioni relative a lavoratori che nei sei mesi precedenti siano risultati occupati a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro e non spetta con riferimento a lavoratori per i quali il beneficio sia già stato usufruito in relazione a precedente assunzione, dello stesso datore di lavoro, a tempo indeterminato. 

L’esonero inoltre non spetta ai datori di lavoro in presenza di assunzioni relative a lavoratori in riferimento ai quali i datori di lavoro, anche considerando società controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto, hanno comunque già in essere un contratto a tempo indeterminato nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore della disposizione.

Analizzando i casi sopra anticipati, gestire le attività stagionali non con contratti temporanei, come il contratto a termine e la somministrazione, ma con part time verticali a tempo indeterminato è perfettamente legittimo e non contrasta con la possibilità di beneficiare dell’esonero.

Il problema principale di tale costruzione è rappresentata dall’impossibilità per i lavoratori di ricevere indennità per la disoccupazione, l’odierna NASpI, per i periodi di non lavoro, fermo restando che il contratto rimane in essere e quindi il lavoratore non si trova tecnicamente in una situazione di perdita involontaria dell’occupazione. 

Già in passato, con i previgenti istituti per la disoccupazione, la questione era stata oggetto di interesse, sfociata con la sentenza della Corte Costituzionale 24 marzo 2006 (si veda anche la circolare INPS 55/2006): il perdurare del rapporto di lavoro nei periodi di sosta assicura al lavoratore impiegato a tempo parziale verticale “una stabilità ed una sicurezza retributiva, che impediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale della retribuzione nei periodi di pausa della prestazione” lavorativa.

Sicuramente la situazione determina un contrasto diretto tra istanze del lavoratore e del datore di lavoro, dove reciprocamente il vantaggio di una parte del contratto diventa uno svantaggio dell’altra.

Nella non semplice gestione di tale contrasto, si registrano prassi a livello territoriale, non condivisibili, dove l’esonero non viene riconosciuto dall’INPS nelle attività stagionali con chiusura annuale, mentre viene riconosciuto per le punte di attività stagionali.

Altra situazione interessata dagli allettanti vantaggi dell’esonero riguarda il lavoro dei familiari, soprattutto nelle piccole imprese o nelle ditte individuali.

L’instaurazione di un contratto di lavoro subordinato con un familiare stretto, è difficilmente prospettabile nell’ambito di un’impresa individuale in quanto in tale contesto opera una presunzione di gratuità della prestazione, in particolare per il familiare convivente, trovando essa causa nei vincoli di affetto e solidarietà del contesto familiare.
La presunzione, ovviamente, non è un divieto assoluto ma determina un maggior rigore probatorio: per superare la presunzione di gratuità della prestazione è necessario che sia data la piena prova dell’instaurazione di un rapporto subordinato, mediante la dimostrazione dell’assoggettamento al potere direttivo del familiare datore di lavoro, la c.d. etero direzione, e dell’erogazione di un corrispettivo periodico al familiare dipendente.

Come afferma il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, la convivenza del figlio di fatto rende impossibile la configurabilità della subordinazione (si segnalano, tra le recenti pronunce, Cass. 05-09-2014, n. 18783 e Corte di Appello di Genova 14 aprile 2014).

Infine, per gli amministratori, è necessario ricostruire il quadro giurisprudenziale relativo alla compatibilità della carica in una società di capitali con la qualifica di lavoratore subordinato.

Con la sentenza 329/2002, la Corte di Cassazione ha affermato che “la qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima ove sia accertata l'attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita e in caso di attribuzione allo stesso soggetto solo delle funzioni inerenti al rapporto organico, la nullità del rapporto di lavoro avente ad oggetto quelle stesse attività non esclude il diritto al distinto compenso specificamente deliberato in favore degli amministratori”.

In sintesi, è possibile cumulare, in via generale, i due rapporti purché siano rispettati le seguenti condizioni:
  1. Sussistenza di un rapporto di subordinazione, caratterizzato dalla soggezione all’eterodirezione;
  2. Alterità oggettiva tra le prestazioni in esecuzione del rapporto di lavoro subordinato e quella svolta come amministratore.
Riguardo al primo punto, è necessario che l’amministratore non assorba nella sua carica tutti i poteri di direzione, controllo e rappresentanza della società, o comunque poteri di amministrazione straordinaria o la totalità dell’amministrazione ordinaria, rendendo di fatto impossibile una soggezione di dipendenza verso un qualunque soggetto o organismo della stessa. 
E quindi, in altri termini, deve sussistere un soggetto, ovvero un organismo, come il cda, che eserciti i poteri tipici della subordinazione, ancorché attenuata da una eventuale carica dirigenziale.
Dott. Luca Vannoni
Fonte: Euroconference 

La precedente carica di amministratore rispetto a una successiva assunzione a tempo indeterminato non è preclusiva dell’esonero anche all’interno dei 6 mesi antecedenti l’assunzione.

Assicurazioni: dall’1 giugno addio all’attestato di rischio cartaceo




Dal 1° giugno il documento che attesta la classe universale di appartenenza dell’assicurato e il numero degli incidenti avuti negli ultimi anni, sarà solo online.  

A partire da tale data, infatti, per tutti i contratti in scadenza dall’1 luglio, il nuovo “attestato dinamico” (in contrapposizione a quello “statico” cartaceo) sarà disponibile soltanto in formato elettronico e non sarà più inviato materialmente agli assicurati ma sarà depositato in una banca dati gestita dall’Ania, sotto il controllo dell’Ivass. 


La compagnia “uscente”, oltre all’obbligo di depositare l’Adr nella banca dati comune, deve altresì mettere a disposizione del contraente l’attestato sul proprio sito internet (attivando un’apposita area riservata per i clienti), nonché, su richiesta dello stesso, via mail, mediante Whatsapp e altre applicazioni per smartphone o tablet e persino tramite Facebook.



domenica 17 maggio 2015

Accertamento induttivo da parte del fisco. Da considerare la crisi economica contestualizzandone le notizie del periodo



In tema di accertamento tributario, l'adozione del criterio induttivo per la ricostruzione dei ricavi impone all'ufficio l'utilizzazione di dati e notizie inerenti al medesimo periodo d'imposta al quale l'accertamento si riferisce. 

Nell'accertamento induttivo, l'irrilevanza della fonte di acquisizione delle notizie è cosa diversa dall'inerenza di queste a un determinato specifico periodo d'imposta, attesa l'autonomia di ciascun periodo d'imposta e l'assenza della presunzione di costanza di redditività in anni diversi. 

Si aggiunga che lo sbilancio tra costi e ricavi, senza dare risalto allo stato economico dell'impresa e alla presenza di caratteristiche (stranezza, singolarità e contrasto con elementari regole economiche e di esperienza), non è tale da renderlo immediatamente percepibile come inattendibile secondo il senso comune. 

In virtù di ciò la CTR Lazio non avrebbe dovuto acriticamente appiattirsi sulle difese dell'Agenzia, trascurando del tutto di approfondire alcuni dati pacifici “quali la sofferenza derivante dalle notorie difficoltà del maggior committente del settore e l'infausta evoluzione del ciclo economico che ha portato in pochi anni la società contribuente al tracollo e al fallimento”. 

Cartelle. Prova del contenuto della raccomandata....



Spetta al mittente dimostrare il contenuto della raccomandata e a questa regola non può sottrarsi Equitalia e Riscossione Sicilia SpA quando ha inviato la cartella di pagamento per posta e il contribuente contesta di averla ricevuta. 

È quanto emerge dall’ordinanza 12 maggio 2015 n. 9533 della Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile T. 

Gli ermellini hanno sostenuto che “l’onere di fornire la dimostrazione della corrispondenza tra atto notificato e atto invocato in giudizio compete a chi ha interesse a invocarne l’efficacia, nella specie di causa, appunto Equitalia”, tanto che, infatti, l’articolo 26, ultimo comma, onera l’agente della riscossione della conservazione quinquennale della cartella o della ricevuta di notifica. 

Quando, poi, la cartella di pagamento è stata notificata con invio diretto della raccomandata postale, “l’avviso di ricevimento (alla stregua di qualsiasi atto pubblico) fa fede esclusivamente delle circostanze che ivi vi sono attestate, tra le quali non figura certamente la certificazione circa l’integrità dell’atto che è contenuto nel plico e men che meno la certificazione della corrispondenza tra l’originale dell’atto e la copia notificata”. 

Ne deriva che è onere del mittente il plico raccomandato fornire la dimostrazione del suo esatto contenuto, sicché, in difetto di ciò, il presupposto dell’avvenuta notifica della cartella, nel caso di specie, “non avrebbe di certo potuto considerarsi raggiunto”. 

Concorso nel Reato di dichiarazione fraudolenta e di emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte del commercialista se....



Risponde dei reati di dichiarazione fraudolenta e di emissione di fatture per operazioni inesistenti, in concorso con l’imprenditore, il consulente fiscale dell’azienda che, sapendo delle irregolarità, non ha rinunciato al mandato.  

È quanto emerge dalla sentenza 11 maggio 2015 n. 19335 della Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale. 

Gli ermellini hanno confermato la condanna a due anni di reclusione inflitta dai giudici di merito al titolare di uno studio di elaborazione contabile in relazione agli addebiti di concorso nell’emissione (art. 8, D.Lgs. n. 74/2000) e concorso nell’utilizzazione (art. 2, D.Lgs. n. 74/20000) di fatture per operazioni inesistenti. 

Secondo la Corte, a buon diritto i giudici territoriali hanno ritenuto che il professionista avesse fornito un contributo intenzionale e consapevole alla realizzazione della frode, agevolando e rafforzando il proposito criminoso dei vertici societari, posto che “un soggetto professionalmente esperto” come l’imputato non poteva che avere “piena conoscenza dell’intento fraudolento della fatturazione e conseguente reperimento in bilancio di documenti irregolari”; sicché l’aver “proseguito nelle consulenza” – scrivono i supremi giudici – “e nella prestazione dei servizi anche dopo il primo esercizio, pur a fronte di evidenti segnali di irregolarità nelle operazioni svolte e della documentata evasione delle imposte, corrisponde ad una condotta interamente connotata dal dolo generico, sufficiente all’integrazione da parte del ricorrente dei reati oggetto di contestazione”.