lunedì 21 luglio 2014

Accertamento autotrasporto, per il carburante basta la fattura

La fattura deve contenere tutte le indicazioni previste, ma non sono necessari chilometri percorsi e numero di targa del veicolo rifornito

Ai fini della deduzione dalle imposte dirette del costo per carburanti e della detrazione dell'Iva pagata sull'acquisto dei carburanti stessi, gli autotrasportatori devono documentare con la fattura i rifornimenti di carburante. In particolare, la fattura deve contenere tutte le indicazioni previste, ma non sono necessari chilometri percorsi e numero di targa del veicolo rifornito. E' quanto stabilito dalla sentenza 691/01/2014 della Ctr Liguria, che ha accolto le motivazioni di un autotrasportatore conto terzi al quale il Fisco aveva contestato la non congruità degli acquisti di carburante effettuati nel 2008 perché nelle relative fatture non erano stati esposti i chilometri percorsi e il numero di targa del veicolo.

venerdì 18 luglio 2014

Canone Rai over 75: esonero se invio del modello entro il 31 luglio

Entro fine mese l'invio della richiesta di esenzione dal canone RAI per i soggetti che hanno compiuto 75 anni




Entro il 31 luglio, i soggetti che intendono beneficiare dell'esenzione dal pagamento del canone RAI a partire dal secondo semestre, devono compilare e inviare all'Agenzia delle Entrate l'apposito modello disponibile sul sito dell'Agenzia stessa. I requisiti per l'agevolazione sono avere compiuto almeno 75 anni d'età al 31.7.2014 e avere un reddito complessivo non superiore a 6.713,98 Euro. Si ricorda, inoltre, che il 31 luglio scadono i termini di versamento delle rate del canone, per coloro che hanno scelto il pagamento rateale. In particolare, il 31 luglio scade la seconda (e ultima) rata per i soggetti che hanno scelto il pagamento semestrale, e la terza rata per coloro che hanno scelto il pagamento trimestrale.

Fonte:Fiscal focus

Titolo conseguito all'estero - Iscrizione nell'Albo del Paese ospitante - Condizioni (Corte di Giustizia UE 17.7.2014 cause C-58/13 e C-59/13) - Victor Di Maria





La Corte di Giustizia, nella sentenza 17.7.2014 nelle cause riunite C-58/13 e C-59/13, ha stabilito che l’art. 3 della direttiva 16.2.1998 n. 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, va interpretato nel senso che non costituisce una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro:

  • si rechi in un altro Stato membro per acquisirvi la qualifica professionale di avvocato, a seguito del superamento di esami universitari; 
  • faccia poi ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica professionale è stata acquisita.
Infatti, la direttiva sullo stabilimento degli avvocati prevede quale unico requisito per l’iscrizione nello Stato membro ospitante quello della presentazione all'autorità competente di un certificato di iscrizione presso l’Ordine dello Stato membro di origine.
I cittadini dell’Unione possono scegliere così lo Stato membro nel quale acquisire il proprio titolo o quello in cui esercitare la propria professione, inerendo tali circostanze all'esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati.
A tal fine, risulta irrilevante la presentazione della domanda di iscrizione all'albo degli avvocati solo poco tempo dopo rispetto al conseguimento del titolo professionale nello Stato membro di origine.


Dott. Victor Di Maria

lunedì 14 luglio 2014

Richiesta nuova dilazione dei ruoli per contribuenti decaduti a cura del Dott. Victor Di Maria




L’art. 19 del DPR 602/73 prevede che le somme richieste mediante cartella di pagamento o accer­tamento “esecutivo” possano essere dilazionate fino ad un massimo di 72 rate mensili (dila­zione “ordinaria”) o di 120 rate mensili (dilazione “straordinaria”).
Ciascuna rata, salvo situazioni eccezionali, non può essere inferiore a 100,00 euro e, per l’accesso alla dilazione, non è mai richiesta la prestazione di garanzia sotto forma di ipoteca o di fideiussione bancaria, a prescindere dall’entità del debito che si intende dilazionare.
Tale istituto opera per qualsiasi tipo di imposta e per i contributi previdenziali, quindi può riguar­dare, ad esempio, l’IRPEF, l’IRES, l’IVA, l’imposta di registro, l’IMU e i contributi INPS.

La disciplina della rateazione richiede che il debitore dimostri lo stato di temporanea difficoltà finanziaria.
In base alle direttive emanate da Equitalia, il debitore raggiunto da una cartella di pagamento o da un accer­tamento “esecutivo” può:
·       chiedere una dilazione “ordinaria”, semplicemente presentando la domanda, fino a 72 rate mensili, per gli importi fino a 50.000,00 euro;
·       chiedere una dilazione “ordinaria”, fino a 72 rate mensili, dimostrando la temporanea situa­zione di obiettiva difficoltà finanziaria (ad esempio esibendo la certificazione ISEE per le per­sone fisiche, o determinati documenti contabili per le società, come i bilanci), per gli importi superiori a 50.000,00 euro;
·       chiedere una dilazione “straordinaria”, fino a 120 rate mensili, dimostrando il grave stato di difficoltà finanziaria.

L’art. 11-bis del DL 24.4.2014 n. 66, inserito in sede di conversione nella L. 23.6.2014 n. 89, ha in­tro­dotto una forma di dilazione particolare per i contribuenti che, alla data del 22.6.2013 (entrata in vigore del DL 69/2013), erano decaduti da una dilazione dei ruoli già concessa, a condizione che la relativa domanda sia presentata entro il 31.7.2014.
Dovrebbe essere irrilevante, ai fini dell’accesso a tale dilazione, la tipologia di debito rateizzata; quin­di, sempre che si tratti di decadenza da una dilazione concessa ai sensi dell’art. 19 del DPR 602/73 (in sostanza, di debiti iscritti a ruolo o derivanti da accertamenti “esecutivi”), rientrano nel beneficio, tra le altre, le rateazioni sia di tributi (IRPEF, IRES, IVA, imposta di registro, ICI, IMU, ecc.) che di contributi dovuti all’INPS o di premi INAIL.

2 decadenza dalla dilazione

Nella versione attuale dell’art. 19 del DPR 602/73 così come modificato dal citato DL 69/2013, il debitore decade dalla dilazione se non paga otto rate del piano, anche non consecutive.
Prima di tali modifiche, entrate in vigore il 22.6.2013, il debitore sarebbe decaduto dalla dilazione in caso di omesso pagamento di due rate consecutive del piano.
Si segnala che, in base alla versione dell’art. 19 del DPR 602/73 antecedente alle modifiche appor­tate dal DL 16/2012 (entrate in vigore il 2.3.2012), la decadenza si sarebbe verificata con il man­cato versamento della prima rata o di due rate successive, anche non consecutive.
L’effetto della decadenza consiste:
·       nell’intera riscuotibilità del debito, con eventuale adozione di misure cautelari (ipoteca, fermo dei beni mobili registrati) e avvio delle attività espropriative;
·       nell’impossibilità di accedere nuovamente alla dilazione.

I contribuenti che, alla data del 22.6.2013, risultavano decaduti dalla dilazione dei ruoli possono ora essere riammessi al beneficio grazie alle novità introdotte dall’art. 11-bis del DL 66/2014 convertito.

3 presentazione della domanda

Per fruire della riammissione alla dilazione, i contribuenti devono presentare apposita domanda presso gli uffici di Equitalia, entro il 31.7.2014.
Attualmente, non sono state pubblicate né direttive di Equitalia né comunicati stampa relativi alla modulistica da utilizzare per la richiesta di tale dilazione.
Pertanto, in attesa dell’eventuale predisposizione di tali moduli, appare sufficiente presentare una domanda in carta semplice con la quale, oltre a chiedere la riammissione alla dilazione, occorrerà attestare di essere decaduti da una precedente dilazione entro il 22.6.2013.
Non è ancora stato specificato se, pure ai fini della dilazione in oggetto, i debitori debbano dimo­strare lo stato di temporanea difficoltà finanziaria.
In merito alle dilazioni “ordinarie”, se il debito è di importo sino a 50.000,00 euro, gli uffici di Equi­talia concedono la dilazione senza la necessità di dimostrare la difficoltà finanziaria, mentre per i debiti di importo superiore occorre, come evidenziato, produrre idonea documentazione.

4 piano di dilazione

Il piano di dilazione concesso ai sensi dell’art. 11-bis del DL 66/2014 convertito si differenzia, sotto alcuni aspetti, dalla comune dilazione dei ruoli.
Infatti, il nuovo piano di dilazione potrà essere concesso per un massimo di 72 rate mensili, esclu­dendo con ciò la possibilità di richiedere la c.d. “dilazione straordinaria” sino a 120 rate mensili.
Una volta accordato, il piano non può essere prorogato, nemmeno in costanza di peggioramento dello stato di difficoltà finanziaria del debitore.
La decadenza dalla dilazione si verifica, in tal caso, non con il mancato pagamento di otto rate ma di due rate, anche non consecutive.
In assenza di dati normativi contrari, sembra possibile chiedere la concessione di rate variabili di importo crescente per ciascun anno, in luogo della classica rata costante.
Una volta concessa la dilazione, Equitalia, come prevede l’art. 19 del DPR 602/73, non può più iscri­vere ipoteca sugli immobili del debitore (art. 77 del DPR 602/73), e lo stesso dovrebbe valere per il c.d. “fermo delle auto” (art. 86 del DPR 602/73), nonostante ciò non sia previsto espressa­mente.
Invece, ove Equitalia, in precedenza, avesse già iscritto l’ipoteca, la misura cautelare manterrebbe i suoi effetti sino al pagamento dell’ultima rata del nuovo piano di dilazione.
Non vi sono preclusioni alla possibilità di domandare la dilazione quando, a causa della precedente decadenza dalla dilazione, il debitore sia stato sottoposto a procedure esecutive (pignoramento presso terzi, espropriazione immobiliare).

In tal caso, la concessione della dilazione dovrebbe immediatamente bloccare la procedura ese­cutiva, eccezion fatta per le ipotesi in cui, ad esempio, il bene immobile pignorato sia già stato venduto all’asta o, più in generale, i procedimenti espropriativi siano oramai terminati.

Dott. Victor Di Maria
Commercialista.

lunedì 7 luglio 2014

Abi e Pmi, prorogata la moratoria dei debiti: esteso l’Accordo per il credito. Ricerca a cura di Victor Di Maria




È una nuova boccata d’ossigeno per le piccole e medie imprese che passa attraverso la proroga, fino alla fine dell’anno, dell’ “Accordo per il credito 2013“, 

lo strumento – la cui scadenza era fissata per il 30 giugno – messo in campo per consentire la sospensione e l’allungamento dei finanziamenti delle aziende.   

Lo ha reso noto ieri l’Abi d’intesa con le parti co-firmatarie che sono Confindustria, Confapi, Alleanza Cooperative Italiane (Agci, Confcooperative, Legacoop), Cia, Coldiretti, Claai, Confedilizia, Confagricoltura, Rete Imprese Italia (Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti) e Confetra.   

I pilastri principali dell’intesa non sono cambiati:   
1. sospensione per 12 mesi della quota capitale delle rate dei mutui (anche se agevolati o perfezionati tramite il rilascio di cambiali);   

2. sospensione per 12 o 6 mesi della quota capitale dei canoni di operazioni di leasing, rispettivamente immobiliare o mobiliare;   

3. allungamento della durata dei mutui per un massimo del 100% di quella residua del piano di ammortamento;   

4. allungamento fino a 270 giorni delle scadenze delle anticipazioni bancarie su crediti per i quali si siano registrati insoluti di pagamento;   

5. allungamento per un massimo di 120 giorni delle scadenze del credito agrario di conduzione.   


Fondi europei, i numeri del fallimento E la Sicilia continua ad affondare - Live Sicilia

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CARTELLA DI PAGAMENTO NULLA IN ASSENZA DI AVVISO BONARIO - Ricerca a cura di Victor Di Maria


La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15312 depositata ieri, ha sancito che la cartella di pagamento scaturente dal controllo formale delle dichiarazioni è nulla se non preceduta dal c.d. “avviso bonario”.
Tale decisione si innesta nell’orientamento, oramai consolidato, strumentale alla sempre più ampia valorizzazione del contraddittorio preventivo tra le parti, principio che discende direttamente dal nostro ordinamento costituzionale nonchè dal diritto comunitario.
In primo luogo, è bene evidenziare come i giudici abbiano disatteso l’eccezione erariale, secondo cui, pure nel caso del controllo formale, la cartella non potrebbe automaticamente ritenersi nulla per mancanza dell’avviso bonario, al pari di ciò che è stato affermato per la liquidazione automatica (ove, secondo consolidata giurisprudenza, la nullità c’è solo se sussistono incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, alla luce di quello che prevede l’art. 6 della L. 212/2000).
Nella liquidazione automatica della dichiarazione (artt. 36-bis del DPR 600/73 e 54-bis del DPR 633/72), il controllo scaturisce da una verifica eseguita dal sistema telematico, che postula, pena l’illegittimità della procedura, un semplice controllo “cartolare” della dichiarazione, oppure un mero riscontro tra dichiarazione e documenti “esterni”, come il modello F24. Per fare il caso più semplice, dove non ci sono le incertezze di cui parla la Cassazione, pensiamo al contribuente che versa le imposte in maniera inferiore a quella indicata in dichiarazione.
In tal caso, pure se non è inviato l’avviso bonario, i diritti della difesa non sono lesi, posto che il contribuente dovrebbe già sapere di aver eseguito un versamento insufficiente.
Molto diversa è la situazione nel controllo formale della dichiarazione (art. 36-ter del DPR 600/73).
L’Agenzia delle Entrate, come peraltro ricordato nella sentenza in commento, effettua un controllo più incisivo su alcune voci della dichiarazione, e chiede in un primo momento al contribuente di esibirne la documentazione giustificativa (è il caso delle certificazioni del sostituto d’imposta relative alle ritenute scomputate in dichiarazione, o ai documenti che giustificano la detrazione delle spese, o la deduzione di alcuni oneri).
Dopo che l’Ufficio ha preso visione della documentazione prodotta, deve comunicare al contribuente, in sostanza, ciò che intende fare: archiviare il procedimento oppure procedere con il ruolo (eventualità in cui il contribuente, se ritiene, può definire l’avviso bonario ex art. 3 del DLgs. 462/97 fruendo della riduzione delle sanzioni da tardivo versamento ai due terzi).
Trattasi di una fase procedimentale necessaria
Se così stanno le cose, è palese che l’omissione dell’avviso bonario lede profondamente la difesa, posto che il contribuente non può nemmeno sapere se il funzionario ha intenzione o meno di archiviare la pratica sulla base della documentazione prodotta.
Non ha nessun rilievo il fatto che l’art. 36-ter del DPR 600/73 non contempli espressamente la nullità del ruolo, siccome questa è la naturale conseguenza dei principi comunitari e nazionali sul contraddittorio e sui rapporti tra le parti (del resto, come rilevato altresì  nella sentenza, la stessa Agenzia delle Entrate si è espressa nel senso dell’assoluta necessità dell’avviso bonario, si veda la circolare 77 del 2001).
Riprendendo le parole dei giudici, “appare evidente, dal mero dato testuale della norma, che al più incisivo «controllo» previsto dall’art. 36-ter, rispetto alla «liquidazione» ex art. 36-bis, il legislatore abbia fatto conseguire una fase procedimentale necessaria, di garanzia per il contribuente, laddove il comma 4 in esame prevede l’obbligo dell’Amministrazione di comunicare i motivi della rettifica operata in un’apposita comunicazione da effettuare al contribuente”.
Fonte:Euroconference

Contributi INPS: Anche il socio non lavoratore versa i contributi. Ricerca a cura di Victor Di Maria




Sono socio in 3 aziende: 
A) nella prima società S.r.l. (appartenente al settore Terziario) sono socio lavoratore e iscritto alla gestione commercianti (reddito d’impresa dichiarato dalla S.r.l. ai fini fiscali per la quota attribuita al socio, anche se non distribuito), con una quota di partecipazione del 50%; 
B) nella seconda società S.r.l. (appartenente al settore Industria) sono socio non lavoratore con una quota di partecipazione del 33,33%; 
C) nella terza società in nome collettivo (appartenente al settore terziario) sono socio non lavoratore con una quota di partecipazione del 33,33% con reddito di partecipazione da quadro H. 

Ai fini del calcolo dei contributi INPS, la base imponibile da indicare nel quadro RR Unico 2014 è costituita da società A+C, oppure la somma algebrica di tutte e tre le aziende? 

L’analisi – Come noto, il quadro RR deve essere compilato: 

- dai soggetti iscritti alle gestione dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali; 
- dai liberi professionisti iscritti alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, L. 8 agosto 1995, n. 335 per la determinazione dei contributi previdenziali dovuti all’Inps; 
- dai soggetti iscritti alla Cassa italiana di assistenza e di previdenza dei geometri liberi professionisti (CIPAG) per la determinazione dei relativi contributi. 

Soggetti iscritti alla gestione artigiani e commercianti - Con specifico riferimento agli artigiani e commercianti, si ricorda che devono compilare il quadro RR: 
- i titolari di imprese artigiane e commerciali; 
- i soci titolari di una propria posizione assicurativa; 
che siano tenuti al versamento dei contributi previdenziali, sia per se stessi, sia per le altre persone che prestano la propria attività lavorativa nell’impresa (familiari collaboratori). 

La base imponibile per il calcolo dei contributi previdenziali è costituita, per ogni singolo soggetto iscritto alla gestione assicurativa, dalla totalità dei redditi d’impresa posseduti per l’anno 2013, al netto delle eventuali perdite portate a nuovo

È inoltre importante ricordare come, per i soci delle S.r.l. iscritti alla gestione esercenti attività commerciali o alla gestione degli artigiani la base imponibile è costituita, altresì, dalla parte del reddito d’impresa della S.r.l. corrispondente alla quota di partecipazione agli utili ancorché non distribuiti ai soci. 

Allo stesso modo, ovviamente, dovrà essere sommata ai redditi d’impresa del contribuente la quota di reddito attribuita da società in regime di trasparenza (ovvero quanto riportato nel quadro RH - redditi di partecipazione in società di persone ed assimilate). 

È invece da escludersi che possano essere accolti nel quadro RR esclusivamente i redditi dell’attività che ha giustificato l’iscrizione nella gestione artigiani e commercianti. 

Pertanto, se da un lato è vero che la qualifica di mero socio di capitali in una S.r.l. non fa sorgere l’obbligo contributivo, è altresì vero che, una volta che tale obbligo è sorto, anche il reddito derivante da attività per le quali il contribuente non assuma la veste di “socio-lavoratore” entrano a far parte della base imponibile. 


Conclusioni - In considerazione di quanto appena esposto, gli elementi che costituiscono la base imponibile per il calcolo della contribuzione dovuta, indicati eventualmente nei quadri RF (impresa in contabilità ordinaria), RG (impresa in regime di contabilità semplificata e regimi forfetari) e RH (redditi di partecipazione in società di persone ed assimilate) sono i seguenti: 


RF63 – (RF98 + RF100, col.1) + [RG31 – (RG33+RG35, col.1)] + [somma algebrica (colonne 4 da RH1 a RH4 con codice 1,3 e 6 e colonne 4 da RH5 a RH6) – RH12] + RS37 colonna 11. 

Si sottolinea che i redditi appena richiamati devono essere integrati anche con quelli eventualmente derivanti, agli iscritti alle Gestioni, dalla partecipazione a società a responsabilità limitata denunciati con il mod. Unico SC (Società di Capitali)

giovedì 3 luglio 2014

Ritorna l'anatocismo ma...... Di Angelo Greco

Come ormai già tutti sanno – complice non certo l’informazione tradizionale, ma il tam tam di internet – nel decreto legge sulla “Crescita”, il Governo ha nascosto, come una “viscida biscia”, una norma che reintroduce, di fatto, la possibilità per le banche di prevedere, nei contratti di conto corrente, l’anatocismo: un sistema di determinazione degli interessi passivi che, sommando quelli già maturati al capitale preso in prestito, e calcolando i successivi interessi al risultato così ottenuto, non fa altro che moltiplicare “a cascata” l’esposizione debitoria del cliente.   

Un modo di operare, quello del Governo Renzi, da “Prima Repubblica”, non fosse altro per la subdola tecnica di inserire, in un corpo normativo destinato al rilancio della competitività delle piccole e medie imprese – già indebitate sino al collo – una norma, invece, a esclusivo vantaggio dei creditori (la lobby delle banche). Insomma, la solita arte di “nascondere” le pillole amare in un mare di zucchero (spesso anche inutile).   Ed è sintomatico come il leader del Governo, sebbene costantemente presente dinanzi ai microfoni, si sia sempre dimenticato di comunicare alla nazione il varo della norma e spiegarne le ragioni della scelta.   In parole povere, la nuova legge [1] stabilisce modalità e criteri per la produzione, con periodicità (questa volta) non inferiore a un anno (in passato avveniva trimestralmente), di interessi sugli interessi già maturati, nelle operazioni bancarie e finanziarie come mutui e finanziamenti in genere,  ma anche nei conti correnti, conti deposito, ecc.   Ma chi ragiona con le vecchie regole prima o poi cade nelle sue stesse trame. Probabilmente, l’Esecutivo ha dimenticato che oggi le cose non sono più come un tempo e che i media – quelli che contano – sono ormai tutti indipendenti. L’allarme sarebbe stato lanciato (stando a quanto scrive “Il Sole 24Ore”, in un articolo dello scorso 28 giugno) con un post su Facebook da Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale, post poi condiviso e tweettato da mezza Italia. Nello stesso giorno, anche il nostro portale lanciava la notizia con un editoriale delle prime ore dell’alba: “Il Governo reintroduce l’anatocismo”.   Poi la notizia è rimbalzata su tutti i siti e social network presenti in rete. In altri tempi, ci sarebbero volute settimane, se non mesi, perché la popolazione si accorgesse di tale manovra, quando ormai la legge era già divenuta definitiva.   Ma così, forse, non sarà questa volta. Un po’ perché, dopo lo sdegno della popolazione e il rischio di una irreversibile impopolarità, gli stessi padri politici della norma sembrano averci ripensato. Un po’ perché già i primi commentatori hanno sollevato seri dubbi sulla legittimità della disposizione che, sin dalle prime letture, si appaleserebbe incostituzionale per via delle diverse ipotesi che essa contempla e delle disuguaglianze che comporta tra varie categorie di debitori.   Dunque, sembrerebbe di capire, dalla lettura dei commenti, oltreché dalle dichiarazioni di attenti parlamentari, che il decreto “Crescita” non sarà mai convertito in legge (almeno nella parte che qui ci interessa).   Ad ogni modo, anche se così fosse, l’alto tasso di incostituzionalità che in esso si respira lascia intendere che la mannaia della Corte Costituzionale – la quale, già in passato, ha inferto profonde ferite sul fianco delle banche – interverrà nuovamente, spinta, specie in questo periodo, da una giurisprudenza di merito sempre molto attenta alle problematiche dei correntisti-debitori. - See more at: http://www.laleggepertutti.it/53201_lanatocismo-reintrodotto-di-nascosto-dal-governo-non-passera-forse#sthash.ySMG34wp.dpuf

mercoledì 2 luglio 2014

Nuova dilazione dei ruoli Equitalia (Riscossione Sicilia) entro il 31 luglio - Dott. Victor Di Maria

I contribuenti che, alla data del 22 giugno 2013, erano decaduti dalla dilazione dei ruoli possono essere riammessi al beneficio



La L. 89/2014 ha confermato la possibilità, per determinate categorie di contribuenti, di essere riammessi al beneficio della dilazione dei ruoli ove in precedenza decaduti.

Si elencano gli aspetti salienti dall’istituto.

In primo luogo, la riammissione al beneficio riguarda la sola dilazione dei ruoli (art. 19 del DPR 602/73).

L'art. 11-bis del DL 66/2014 (convertito in legge) stabilisce che i debitori decaduti entro e non oltre il 22 giugno 2013 possono domandare la concessione di un nuovo piano di rateazione, a condizione che la richiesta sia presentata entro e non oltre il 31 luglio 2014.

Tale piano di rateazione può essere concesso per un massimo di 72 rate mensili e non è prorogabile.

La decadenza, in tal caso, si verifica a seguito del mancato pagamento di due rate anche non consecutive, mentre in base alla versione attuale dell’art. 19, si decade con l’omesso pagamento di otto rate.

Per come è strutturata la norma, che ammette i debitori, in termini generici, al beneficio di un nuovo piano di rateazione, sembra che non abbia rilievo lo stato di difficoltà economica degli stessi (si evidenzia, comunque, che Equitalia, in base a direttive interne, concede le dilazioni senza alcuna dimostrazione del menzionato requisito per i debiti di importo sino a 50.000 euro).

Dilazione massimo a 72 rate

Oltre a ciò, la domanda dovrebbe poter essere presentata anche a esecuzione avviata, a meno che il procedimento di espropriazione non abbia già avuto termine (quindi pure nelle more di un pignoramento presso terzi o di una procedura di espropriazione immobiliare).

Per quanto attiene all’ipoteca, l’accoglimento della domanda di dilazione ne dovrebbe inibire l’adozione, ma, in relazione a ciò che prevede l’art. 19 del DPR 602/73, rimangono valide le ipoteche già iscritte, mentre per il fermo dei beni mobili registrati, per quanto già detto da Equitalia in precedenti direttive, esso dovrebbe essere revocato con il pagamento della prima rata.

La rateazione può essere al massimo di 72 rate mensili, per cui non è di fatto possibile la dilazione straordinaria, che, ai sensi del comma 1-quinquies  dell’art. 19, può essere sino a 120 rate mensili.
Non sembrano esserci elementi ostativi alla concessione di un piano a rate crescenti per ogni anno, in luogo della classica rata costante.


martedì 1 luglio 2014

Le spese prepagate ai Professionisti: cambiano le regole. Ricerca a cura di Victor Di Maria

Professionisti: spese prepagate fuori dai compensi

Fonte: fiscal Focus 

Semplificazioni in vista anche per i professionisti, per i quali si prevede la cancellazione della procedura prevista per l’integrale deducibilità delle c.d. “spese prepagate”, con particolare riferimento alle spese di vitto e alloggio sostenute dal committente per conto del professionista e da quest’ultimo addebitate in fattura per l'importo effettivamente pagato dal committente. 

In via generale, le spese di vitto e alloggio sostenute nello svolgimento dell’attività professionale devono sottostare a un doppio limite di deducibilità: sono deducibili nella misura del 75% e, in ogni caso, per un importo non superiore al 2% dei compensi (art. 54, co. 5, del D.P.R. 917/1986). 

I suddetti limiti di deducibilità si applicano anche nel caso in cui il professionista sostiene tali spese per poi riaddebitarle al cliente. Per i suddetti rimborsi spesa, che sono assimilati ai compensi (vedi da ultimo R.M. 49/E/2013), viene a crearsi una situazione paradossale. 


Per la parte di costo indeducibile si dà luogo a un reddito non effettivamente realizzato, comunque sottoposto a tassazione in contrasto con il principio costituzionale di capacità contributiva. 
Per dirimere tale questione, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, nella circolare 37 del 09 settembre 2013, ha sostenuto la necessità di considerare le spese sostenute per conto del cliente, ma a nome proprio, analiticamente documentate, irrilevanti ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo con naturale contropartita l’indeducibilità dei costi riferibili alle spese rimborsate


Non soggiacciono ai suddetti limiti, le spese di vitto e alloggio sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate in fattura per l'importo effettivamente pagato dal committente. Questi sono sì assimilati ai compensi, ma viene prevista l’integrale deducibilità dal reddito del professionista

L’integrale deducibilità presuppone una serie di adempimenti pratici, ovvero: 


• il committente deve ricevere da colui che presta il servizio alberghiero o di ristorazione il documento fiscale a lui intestato con l'esplicito riferimento al professionista che ha usufruito del servizio; 
• il committente comunica al professionista l'ammontare della spesa effettivamente sostenuta e gli invia una copia del documento fiscale ricevuto; 
• il professionista emette nei confronti del committente la parcella, comprensiva dei compensi e dellespese di vitto e alloggio pagate dal committente medesimo, e considera il costo integralmente deducibile, qualora siano state rispettate le predette condizioni; 
• il committente, ricevuta la parcella imputa a costo la prestazione professionale, comprensiva dei rimborsi spese. 


In un’ottica di semplificazione, nel CDM del 20.06.2014 è stato previsto che le prestazioni alberghiere e di somministrazioni di alimenti e bevande acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista che ne usufruisce. Pertanto, il professionista non dovrà più “riaddebitare” in fattura tali spese al committente e non dovrà più operare la deduzione del relativo ammontare quale componente di costo deducibile dal proprio reddito di lavoro autonomo.