martedì 26 giugno 2012

Ristrutturazioni edilizie, IVA ordinaria per il parquet a cura del Dott. Victor Di Maria


L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato, dobbiamo dire finalmente, due documenti di prassi che  riguardano il chiarimento sull’applicazione dell’aliquota IVA in due particolari fattispecie: la fornitura del materiale per la posa in opera, senza collanti, del pavimento in laminato (tipo “parquet”) e la cessione di piattaforme elevatrici.



Nel primo dei due casi, leggendo la risoluzione n. 71/2012, l'Agenzia ha ritenuto determinante – ai fini dell’applicabilità dell’IVA ridotta del 10% di cui al n. 127-terdecies) della Tabella A, parte III, del DPR n. 633/1972 – la determinazione della qualificazione del prodotto parquet.  Secondo l’Amministrazione finanziaria, infatti, tale bene non può essere considerato “prodotto finito”, in quanto si tratta pur sempre di beni riconducibili alla categoria dei materiali di rivestimento. 
I singoli listelli che compongono la pavimentazione non costituiscono, infatti, elementi dotati di per sé di una propria individualità e autonomia funzionale, anche se montate senza collanti. Una volta smontate – anche se suscettibili di riutilizzo – perdono le proprie caratteristiche strutturali di pavimentazione.
Del che l'Agenzia delle Entrate ritiene inapplicabile la predetta aliquota IVA agevolata, riservata, invece, ai soli beni finiti – escluse le materie prime e semilavorate – impiegati per la realizzazione degli interventi di recupero di cui all’art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e), della L. n. 457/1978 (recupero e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia e urbanistica), ad eccezione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di cui alle precedenti lett. a) e b). 
A conferma di tale orientamento, sono stati richiamati alcuni principi ormai consolidati di prassi: 
  • per beni finiti, cui si applica l’aliquota agevolata, si intendono quelli che, anche successivamente al loro impiego nella realizzazione dell’intervento di recupero, non perdono la loro individualità, pur incorporandosi nell’immobile (C.M. n. 1/1994); 
  • non sono considerati beni finiti quelli che, pur essendo tali per il cedente che li ha prodotti, rappresentano materie prime e semilavorate per il cessionario (C.M. n. 14/1981). È il caso, ad esempio, dei mattoni, delle maioliche o dei chiodi, a differenza degli ascensori, dei montacarichi, degli infissi, dei sanitari o dei prodotti per gli impianti elettrici, idrici e a gas.

L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, chiarito che il suddetto intervento può beneficiare della detrazione del 55% delle spese sostenute per il risparmio energetico, a norma dell’art. 1, comma 345, della L. n. 296/2006, purché siano rispettati i requisiti di trasmittanza termica previsti dall’allegato “B” del Decreto del Ministro dello Sviluppo economico dell’11 marzo 2008, nonché gli ulteriori adempimenti posti a carico del contribuente per beneficiare della detrazione. Sul punto, si osservi che tale documento precisa che deve trattarsi di “pavimenti verso locali non riscaldati o verso l’esterno”, mentre l’Enea – ente preposto alla verifica e al controllo dei presupposti richiesti dalla norma agevolativa, in ordine al conseguimento del risparmio energetico – contempla altresì, nelle proprie schede riguardanti la trasmittanza termica, anche l’ipotesi del “pavimento contro terra”.

La risoluzione n.70/2012  ha chiarito la fattispecie della cessione di piattaforme elevatrici, disciplinata dal punto 31 della Tabella A, Parte Seconda, allegata al DPR n. 633/1972, per effetto del quale l’aliquota ridotta del 4% è applicabile alla vendita di poltrone e veicoli simili per invalidi, anche con motore o altro meccanismo di propulsione, intendendosi compresi i servoscala e altri mezzi atti al superamento di barriere architettoniche per soggetti con ridotte o impedite capacità motorie. 
La norma agevola i trasferimenti di quei beni che, per le loro caratteristiche tecniche di costruzione, sono oggettivamente idonei a risolvere i limiti di deambulazione dei soggetti con ridotte o impedite capacità motorie, senza condizionare l’applicazione dell’aliquota ridotta alla circostanza che l’acquirente sia il soggetto portatore di handicap
L’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto l’applicazione dell’aliquota agevolata del 4% – in ogni fase della commercializzazione, anche nell’ipotesi in cui il cessionario sia un ente o una scuola – purché tali beni siano rispondenti alle caratteristiche e peculiarità tecniche indicate dall’art. 4.1.13 del DM n. 236/1989, ovvero si tratti di servoscala e piattaforme elevatrici atti a consentire, in via alternativa ad un ascensore, il superamento di dislivelli – di norma non superiori a 4 metri – a persone con ridotta o impedita capacità motoria.
Dott. Victor Di Maria

Conferimento d’azienda e cessione partecipazione, nessuna elusione a cura del Dott. Victor Di Maria


Ulteriore sentenza di una Commissione Tributaria Provinciale sulla controversa questione della presunzione di "elusione" nel conferimento di azienda a seguito delle partecipazioni. 



La Terza Sezione della C.T. Prov. di Milano ha sentenziato che il conferimento d’azienda, seguito dalla cessione delle partecipazioni, non può essere considerato un’operazione finalizzata ad eludere, sul trasferimento del complesso aziendale, l’applicazione delle imposte d’atto secondo la più onerosa disciplina degli atti di cessione d’azienda.
Le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria fondate sulla pretesa riqualificazione degli atti di conferimento d’azienda e successiva cessione della partecipazione in atti di cessione d’azienda, con conseguente rideterminazione dell’imposta di registro (e, ove ci sia nell'atto anche la presenza di una componente immobiliare, pure di quelle ipotecaria e catastale) da fissa a proporzionale. 
La base procedimentale su cui gli Uffici avanzano generalmente le proprie presunzioni fondano la propria ragione in forza dell’art. 20 del DPR 131/1986 (ai sensi del quale l’imposta deve trovare applicazione sulla base dell’effettivo contenuto giuridico dell’atto e non del suo mero nomen iuris) e l’abuso del diritto.
La sentenza n. 168 del 29 maggio 2012, della III Sezione della Commissione tributaria provinciale di Milano, si pronuncia respingendo entrambi questi presupposti e accogliendo, viceversa, il ricorso del contribuente con una puntigliosa analisi di merito.
Difatti, in particolare, relativamente all’art. 20 del DPR 131/1986, la sentenza enuncia come la riqualificazione di un atto, sulla base dei suoi reali effetti giuridici, non possa essere confusa con una riqualificazione basata invece sui suoi presunti effetti economici.

La sentenza inoltre è ancora più marcatamente chiara allorquando rispedisce al mittente la pretesa natura elusiva del comportamento complessivamente tenuto dalle parti. 

In particolare, è illuminante il dispositivo della sentenza nella parte in cui evidenzia che “le operazioni poste in essere con gli atti sopra descritti non integrano gli estremi del comportamento abusivo, in quanto la finalità elusiva non è stata posta come elemento predominante e assorbente nei medesimi atti”.

L’aspetto cruciale è  l'aver chiarito, sia pure con una sentenza di primo grado di giudizio, che, nel momento in cui le operazioni vengono poste in essere per realizzare anzitutto una finalità economica reale (trasferimento a terzi di un’azienda o riorganizzazione infra-gruppo), il fatto che il contribuente abbia scelto, per giuridicamente realizzarla, la strada fiscalmente meno onerosa, tale comportamento non solo è perfettamente lecito ma e anzi “costituzionalmente garantito, ex artt. 23 e 41 Cost.”.

Ci sono parecchie sentenze ormai sull'argomento, alcune con esiti favorevoli al contribuente, altri, invece, con esiti negativi.
Tra le sentenze con esito favorevole al contribuente, va ricordata la sentenza 21 febbraio 2011 n. 54  della Sezione XLII della Commissione tributaria di Milano, secondo la quale la possibilità di procedere alla riqualificazione dei due atti in una cessione d’azienda, in virtù di un utilizzo antielusivo dell’art. 20 del DPR 131/1986, non sembrerebbe essere scartata a priori, ma viene comunque considerata impraticabile, per nullità del relativo avviso di accertamento, in mancanza del previo esperimento delle tutele procedimentali previste, a favore del contribuente, dai commi 4 e 5 dell’art. 37-bis del DPR 600/1973 (tutele che, nella prassi, sono sistematicamente disattese dagli Uffici che emanano gli accertamenti ai fini delle imposte d’atto).
Favorevoli all’Amministrazione finanziaria, si ricordano invece i due precedenti giurisprudenziali della Commissione tributaria provinciale di Firenze (sentenza 3 febbraio 2009 n. 90 della Sezione XIX, depositata il 29 settembre 2009) e della Commissione tributaria regionale della Lombardia (sentenza 13 gennaio 2011 n. 36 della Sezione XXII, depositata il 3 marzo 2011).

Dott. Victor Di Maria

Rate di Unico 2012: l’Agenzia si corregge


Con la nuova versione del documento di prassi sono eliminati i dubbi derivanti dall’originale formulazione della risoluzione 69/E/2012 su UNICO 2012



L’Agenzia delle Entrate ha corretto la risoluzione n. 69/E del 21.06.2012 superando così i dubbi che erano stati sollevati in base ad alcune precisazioni contenute nel documento originario. Il nuovo testo della risoluzione eliminando a pag. 1 il riferimento all’imposta sulla rivalutazione del valore dei terreni (art 2, D.l. 282/2002 e succ. modificazioni), non estende più la proroga a tale versamento. Il termine per il pagamento dell’imposta sostitutiva, infatti, non è fissato al 18 giugno (presupposto che giustificherebbe la proroga) ma al 30 giugno, che cadendo di sabato slitta al 2 luglio. La nuova versione della risoluzione, inoltre, eliminando la locuzione “ai quali gli stessi siano applicabili”, pagina 2, conferma l’orientamento espresso in passato con la circolare 41/2007. Pertanto la proroga si estende anche i contribuenti interessati da una causa di esclusione o di inapplicabilità dello studio di settore.

Fonte: Il Sole 24 ore

Lettere del Fisco: nessuna cartella immediata di Victor Di Maria


Il fisco concede ulteriori 30 giorni prima di inviare la cartella di pagamento






L'Agenzia delle Entrate ha formulato alcune risposte a dei quesiti chiarendo la procedura che verrà utilizzata a seguito dell'invio della lettera con la quale la stessa chiede chiarimenti in ordine a deduzioni e detrazioni dichiarati.

Se il contribuente non fornisce la documentazione richiesta entro il 30 giugno, l’Ufficio comunica l’esito del controllo al contribuente con raccomandata e da quel momento si avranno ulteriori 30 giorni per dare chiarimenti. 

Solo in caso di ulteriore inerzia, l’ufficio procede all’iscrizione a ruolo e alla conseguente notifica della cartella di pagamento da parte di Equitalia, che ha tempo fino al 31.12 del 4° anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione oggetto di controllo.

Dott. Victor Di Maria

domenica 24 giugno 2012

Detrazione canoni di locazione studenti solo per l’intestatario del contratto


Gli studenti universitari usufruiscono della detrazione del 19% dei canoni di locazione solo se il contratto è intestato a loro

Una delle spese agevolate dal fisco è quella relativa al canone di locazione pagato dagli studenti universitari fuori sede, per la quale è prevista una detrazione Irpef del 19% in dichiarazione dei redditi. Può usufruire della detrazione, tuttavia, solo lo studente intestatario del contratto e non anche gli altri studenti suoi coinquilini che, pur pagando la propria quota di canone di locazione, non sono anch’essi intestatari del contratto di locazione.

Lusi ai pm: «Un patto con Rutelli e Bianco Ecco email e appunti» - Sarebbe stato beneficiato anche Renzi

Lusi ai pm: «Un patto con Rutelli e Bianco Ecco email e appunti» - Corriere.it

Lusi ai pm: «Un patto con Rutelli e Bianco Ecco email e appunti» - Sarebbe stato beneficiato anche Renzi

Lusi ai pm: «Un patto con Rutelli e Bianco Ecco email e appunti» - Corriere.it

venerdì 22 giugno 2012

L’agevolazione prima casa e la residenza della famiglia di Victor Di Maria

la Corte di Cassazione, nella sentenza 8 settembre 2003 n. 13085, ha affermato che, ai fini della valutazione della fruibilità dell’agevolazione prima casa, riveste importanza fondamentale la “residenza della famiglia”, con la inevitabile conseguenza che l’agevolazione spetta sull’intero immobile acquistato anche se uno solo dei coniugi abbia fissato la residenza nell’abitazione, purché essa sia stata destinata a residenza della famiglia. 


Tale decisione rende ininfluente, sul piano tributario, la mancanza del requisito della residenza della moglie, ben potendo la moglie avere una esigenza (legittima e riconosciuta dalla legge civile) che la spinge ad avere una residenza diversa”. In tal senso si è espressa la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 28 gennaio 2009 n. 2109, in cui ha chiarito che, ai fini dell’agevolazione prima casa, è necessario che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare e si trovi, quindi, nel Comune in cui si trova la residenza della famiglia, mentre non rileva che uno dei due coniugi non abbia la residenza anagrafica in quel Comune, sia nel caso in cui l’immobile sia entrato in comunione in seguito ad acquisto congiunto, che in seguito ad acquisto da parte di un solo coniuge.

Infine, con l’ordinanza 1° luglio 2009 n. 15426, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al godimento dell’agevolazione in relazione all’intero immobile, nel caso in cui uno solo dei due coniugi avesse trasferito la residenza nel Comune in cui si trovava l’immobile. 


In tale pronuncia, la Suprema Corte ribadisce che i coniugi non sono tenuti ad una comune residenza anagrafica, ma solo alla coabitazione, sicché “un’interpretazione della legge tributaria […] conforme ai principi di diritto di famiglia” non può imporre al coniuge di porre (ai fini fiscali) la residenza nell’immobile in cui ha la residenza l’altro coniuge, se ciò non è imposto dal codice civile.

In ogni caso ricordo che l’Amministrazione finanziaria, nella circ. 38/2005 (§ 2.1), si è pronunciata in senso opposto, sostenendo, in linea generale, che l’agevolazione prima casa si può applicare solo in relazione al 50% del valore dell’immobile, nel caso in cui solo uno dei coniugi si trovi nelle condizioni di godere dell’agevolazione


Si rileva e si sottolinea che anche un’eventuale successiva separazione dei coniugi non comporta la perdita dell'agevolazione, in quanto non è richiesto dalla norma agevolativa che la residenza (della famiglia) venga conservata nel Comune per un determinato periodo.

Pertanto, accertato che, al momento dell’atto (o entro 18 mesi da esso), la residenza della famiglia era stata fissata in quel Comune, non è rilevante che poi la famiglia si sia “sciolta” e, di conseguenza, la residenza abbia perso la sua originaria connotazione (diventando residenza di uno solo dei coniugi).

La separazione personale legale dei coniugi, pur determinando lo scioglimento della comunione legale tra di essi exart. 191 c.c. (con efficacia dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione, ovvero dal momento dell’omologazione da parte del Tribunale degli accordi consensualmente raggiunti), non configura un’ipotesi di “trasferimento a titolo oneroso o gratuito” che (se effettuata nei 5 anni dall’acquisto) risulterebbe passibile di determinare la decadenza dall'agevolazione. 


Lo scioglimento della comunione non determina alcun trasferimento di beni, ma, piuttosto, una trasformazione della comunione legale in una forma speciale di comunione convenzionale che, poi, i coniugi possono sciogliere mediante divisione dei beni (cfr. Cass. 29 marzo 2006 n. 7231). 


Infine, la separazione di fatto di per sé non è neppure in grado di sciogliere la comunione legale, sicché, in tal caso, non muta neppure la titolarità dell’immobile abitativo (cfr. Cass. 6 ottobre 2005 n. 19447).

martedì 19 giugno 2012

Il debitore protestato può adire il giudice ordinario per chiedere in via d'urgenza la cancellazione di protesti a cura del Dott. Victor Di Maria

Le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno finalmente e per la prima volta dato un'uniforme interpretazione sull'applicazione dell'articolo 4 della Legge n. 77/55 (come riformato dalla Legge n. 235/00) in merito al procedimento di cancellazione del protesto dal RIP, ed anche sulla definizione giuridica in capo al soggetto protestato interessato alla cancellazione del proprio nominativo. 



Nel caso di specie si è arrivati all'accoglimento del ricorso incardinato dal soggetto protestato da parte del giudice di pace, poi confermata in appello dal tribunale, avverso il provvedimento di rigetto della competente camera di commercio. 

La CCIAA, soccombente nei precedenti giudizi di merito, lamentava la mancanza di giurisdizione del giudice ordinario in ragione del generale principio della divisione dei poteri dello stato secondo il quale il giudice ordinario non può sindacare in alcun modo l'operato degli organi amministrativi mediante poteri di riforma, modifica e annullamento di provvedimenti amministrativi, dovendo semplicemente limitarsi a disapplicarli nel caso concreto, spettando solamente alla magistratura amministrativa (tar e consiglio di stato) tale poteri, secondo l'impostazione della Legge n. 2248/1865 sull'ordinamento amministrativo.  

Con una sentenza alquanto precisa, le Sezioni unite ribaltavano tale impostazione ritenendo infondato il motivo sulla giurisdizione e sostenendo, invece, che il soggetto protestato si trovi in una situazione giuridica consistente in un diritto soggettivo pieno ed integro, ai sensi dell'articolo 4 della Legge n. 77/55 come in seguito modificata, e perciò legittimamente azionabile innanzi al Giudice ordinario, che non potrà semplicemente limitarsi a disapplicare l'atto amministrativo per conseguire siffatta tutela legislativa. 

La sentenze riveste particolare importanza perché viene inoltre chiarita la natura meramente materiale dell' attivita svolta dalle CCIAA in ordine alla ricezione delle istanze di cancellazione protesti, e di conseguenza la materia del contendere riguarda non  un interesse legittimo innanzi ad un potere discrezionale della pubblica amministrazione che come tale sarebbe stato necessariamente devoluto alla giurisdizione del giudice amministrativo. 

La Corte ribadisce che, per quanto riguarda i mezzi di prova, è necessariamente obbligatorio la produzione del titolo in originale col relativo atto di protesto ai fini della cancellazione.  

La Corte, inoltre, "pretende", al fine di evitare accordi fraudolenti tra gli obbligati cartolari, non solo la prova certa del pagamento ma anche della relativa data, la quale può esser unicamente offerta mediante presentazione della quietanza o di un deposito bancario vincolato al portatore del titolo in determinate circostanze, cosi da determinare al contempo la sottrazione del titolo alla sua libera circolazione e risultando inammissibile la prova testimoniale nel procedimento de quo. 



Dott. Victor Di Maria

S.r.l. semplificata per tutti: over e under 35 - Ricerca a cura del Dott. Victor Di Maria


L’art. 23 del Decreto approvato lo scorso 15 giugno 2012 dal Consiglio dei Ministri, c.d. Decreto Crescita, torna sul tema della S.r.l. semplificata per eliminare il vincolo anagrafico che lo avrebbe fatto diventare uno dei tanti strumenti “sulla carta” pro-giovani, ma di fatto non “inutilizzati”.

Grazie a una proposta emendativa in tal senso, la posizione dell’Italia nella classifica “Doing Business” alla voce "Starting a business- Avvio di un’attività imprenditoriale" salirebbe dall’attuale 77° posto al 71°, scontando prevalentemente i maggiori costi per l'avvio d’impresa.

Il Doing Business - Il Doing Business (DB) è l’indagine che il Gruppo Banca Mondiale svolge dal 2003 per offrire una misura quantitativa dello sviluppo di business in cui operano le piccole e medie imprese.
Applicata per la prima volta a livello sub-nazionale in Europa, l’indagine “Doing Business in Italy 2012” riguarda la competitività e la capacità di attrazione degli investimenti a livello regionale, con particolare attenzione alle aree del Mezzogiorno.
La graduatoria viene compilata su specifici case studies per individuare i maggiori nodi al fare impresa, in particolare nel Mezzogiorno, e attivare opportuni interventi di policy nazionali e locali a costo limitato o nullo per l’erario pubblico.
In tale lista tuttavia la fattispecie della Srl semplificata non veniva nemmeno presa in considerazione in quanto limitata ai soli under 35.

La rimozione del limite dei 35 anni - La rimozione del vincolo anagrafico, si legge nella relazione illustrativa al Decreto Crescita, consente di uniformarsi agli obiettivi dei concorrenti europei, garantendo effetti positivi diretti ed indiretti sulle dinamiche economico produttive.
L’art.3 del DL n.1/2012 è stato, dunque, ulteriormente modificato per tener conto di queste considerazioni.
Il nuovo articolo, rubricato “Accesso alla costituzione di società a responsabilità limitata”, presenta sostanziali novità.

Le nuove “S.r.l.s.” potranno essere costituite solo da persone fisiche, anche con più di 35 anni, in quanto il comma 1 dell’art. 2463 bis c.c. è stato modificato sopprimendo le parole: ”che non abbiano compiuto i 35 anni di età alla data della costituzione”.

Eliminato il limite di età, di conseguenza, viene meno il divieto di cessione delle quote sociali a soggetti con più di 35 anni e l'obbligo di trasferimento delle stesse quote quando i soci superano il fatidico limite anagrafico, precedentemente previsto dal comma 4 dell’art. 2463 bis c.c.

Atto costitutivo e statuto standard - L'atto pubblico e l’utilizzo dello statuto standard non modificabile permangono; sarà un atto di natura non regolamentare del Ministro della Giustizia, adottato su proposta del Consiglio nazionale del notariato, che renderà noto il modello standard cui devono conformarsi l’Atto costitutivo e lo Statuto, con la conseguente nullità di ogni clausola modificativa o integrativa, sostituita di diritto dalla corrispondente previsione del modulo.

Il 25% dell’utile a riserva indisponibile - La novità sostanziale riguarda l’onere di destinazione di una parte degli utili di bilancio, pari al 25%, a riserva indisponibile sino a quando tale riserva e il capitale non raggiungono complessivamente l'ammontare di euro 10.000.
Se la nuova “S.r.l.s.” viene quindi costituita con 1 euro,m la semplificazione è solo formale, in quanto fintanto che il capitale della S.r.l. standard non si è formato, l’utile non può essere distribuito ai soci. Ciò risponde, tuttavia, alle esigenze di garanzia verso i potenziali creditori sociali.

Altra modifica riguarda gli oneri notarili, i quali in caso di “S.r.l.s.” costituita da soci under 35 non dovranno essere versati, mentre in caso di soci over 35 saranno dovuti senza alcuna esenzione, pur nei limiti degli importi stabiliti dal Ministero; lo stesso accade per la registrazione al registro imprese dell’atto costitutivo e l’iscrizione della nuova realtà: l’imposta di bollo e i diritti di segreteria saranno dovuti solo dalle persone fisiche over 35.

Attendiamo ora la pubblicazione dei modelli standard di atto costitutivo e statuto affinché possa diventare finalmente operativa tale nuova forma di start-up, la cui evoluzione normativa è stata quanto mai ricca di modifiche, ma che non ha ancora potuto vedere la luce.
Fonte: fiscale focus

lunedì 18 giugno 2012

Imu per il fabbricato rurale non accatastato di Victor Di Maria

In base a quanto stabilito dall'art. 7, co. 2-bis, D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (conv. con modif. con L. 12 luglio 2011, n. 106), come poi successivamente abrogato dall'art. 13, D.L. 201/2011, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i soggetti interessati dovevano presentare all'Agenzia del Territorio, entro il 30 settembre 2011, una domanda di variazione della categoria catastale per l'attribuzione all'immobile della categoria A/6 per gli immobili rurali a uso abitativo o della categoria D/10 per gli immobili rurali a uso strumentale.  





Successivamente, con l'art. 13, co. 14-bis, 14-ter e 14-quater, D.L. 201/2011 sono state apportate alcune significative modifiche a tale disciplina, modifiche che esplicano effetti anche ai fini Imu.  

In particolare, è stato previsto che i fabbricati rurali iscritti al Catasto terreni, con esclusione di quelli che non costituiscono oggetto di inventariazione ai sensi dell'art. 3, co. 3, D.M. 2 gennaio 1998, n. 28, devono essere dichiarati al Catasto edilizio urbano entro il 30 novembre 2012 (art. 13, co. 14-ter).  

Alla luce di quanto sopraesposto il contribuente dovrà procedere con l’accatastamento entro il 30 novembre 2012 e poi pagare il saldo Imu entro il 16 dicembre 2012.

Dott. Victor Di Maria

Imu per i fabbricati inagibili a cura del Dott. Victor Di Maria


Base imponibile ridotta del 50% a condizione che venga attestata l’inagibilità




I fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili, e di fatto non utilizzati, hanno la base imponibile per il calcolo dell'Imu ridotta del 50%. Per beneficiare dello sconto il proprietario è costretto a far fare una perizia a proprie spese o presentare un'autocertificazione. I Comuni accertano le condizioni dello stabile e possono disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato.

La disciplina Imu degli immobili inagibili o inabitabili è stata resa meno gravosa dalle modifiche inserite in sede di legge di conversione del decreto fiscale (D.L. 16/2012). Si prevede infatti che per queste unità la base imponibile sia ridotta alla metà. Nella formulazione originaria l'imposizione avveniva con le regole ordinarie. Con le modifiche apportate dalla legge di conversione del D.L. 16/2012 per le unità inagibili o inabitabili si verifica un ritorno al passato, poiché nel regime Ici era già disposta la riduzione a metà dell'imposta. L’agevolazione vale limitatamente al periodo dell'anno durante il quale sussistono dette condizioni.

La norma prevede che l’inagibilità o l'inabitabilità sia accertata dall'ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa a tale previsione, il contribuente ha facoltà di presentare una dichiarazione sostitutiva ai sensi del testo unico di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. Secondo l'orientamento di Cassazione, ai fini dell'applicazione dell'agevolazione non è sufficiente che il bene sia di fatto inagibile o inabitabile, occorrendo la formale comunicazione da parte del contribuente di questo stato di fatto. A meno che il Comune non ne sia già ufficialmente a conoscenza, come accade ad esempio nei casi di ordinanze di sgombero. 

L’art. 13 del D.L. 201/2011 prevede inoltre che, agli effetti dell’applicazione della riduzione alla metà della base imponibile, i Comuni possono disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione. Da tale norma si ricava che il Comune ha il potere di ritenere elusivo del dovere fiscale la mera negligenza nella manutenzione, come la mancata sostituzione di vetri rotti o l'assenza di espurgo fognario. Questi comportamenti non sono quindi utili per ottenere un'inabitabilità e la riduzione della base imponibile Imu.

Gli immobili crollati e i ruderi vanno invece accatastati nella categoria F3 (fabbricati “collabenti”), che ha rendita catastale pari a zero: il che comporta l'esenzione dall'Imu, salvo che non insistano su un'area fabbricabile, nel cui caso si dichiara il valore dell'area.

Dott. Victor Di Maria

Società in «perdita sistematica» alla prova dell’interpello a cura del Dott. Victor Di Maria

Tenuti ad avanzare l’istanza i soggetti che non rientrano nelle cause di disapplicazione automatica di cui al Provvedimento dell’11 giugno.



Le imprese in “perdita sistematica” saranno tenute, nelle prossime settimane, ad avanzare istanza di disapplicazione della nuova disciplina per evitare di versare l’acconto 2012 rideterminando al solo scopo l’imposta 2011.
L’Agenzia delle Entrate, nella circolare n.23 dell’11 giugno 2012, ribadisce che tale obbligo è dovuto nei casi seguenti:
- se non sussiste nel 2012 o nel 2011 almeno una delle cause di esclusione previste dall’art. 30 della L. 724/94;
- se non sussiste, nel periodo di osservazione 2008-2010, ovvero nel periodo di osservazione 2009-2011, almeno una delle cause di disapplicazione della disciplina introdotte dal Provvedimento dell’11 giugno 2012.

In tali casi, infatti, la disapplicazione è automatica, senza necessità di avanzare alcuna istanza.

In forza della stessa circolare 23/2011, i soggetti che formalizzano l’istanza devono individuare le situazioni oggettive che giustificano la disapplicazione della normativa in questione (in altre parole, le cause che hanno determinato la perdita e che legittimerebbero l’esclusione delle penalizzazioni previste dalla disciplina delle società in perdita sistematica). 
Bisogna fare attenzione, inoltre, che nell’istanza occorre indicare, oltre al periodo d’imposta per il quale si chiede la disapplicazione, anche il periodo d’imposta a cui le stesse situazioni si riferiscono (diversamente, infatti, l’istanza si ritiene inammissibile). 
Secondo l’Agenzia sarebbero inammissibili le istanze afferenti ai periodi d’imposta anteriori al 2012, a meno che il periodo d’imposta in relazione al quale la situazione oggettiva è stata dedotta sia compreso nel periodo di osservazione afferente al periodo di prima applicazione della disciplina in esame: l’esempio citato nella circolare 23/2012 è quello di una società che avanza istanza di disapplicazione in relazione al 2011 deducendo una situazione oggettiva afferente al 2010: tale istanza è pienamente ammissibile, in quanto l’interesse alla valutazione della sussistenza della situazione specifica del 2010 rileva anche nell’ambito del periodo di osservazione 2009-2011, afferente al 2012.  
La circolare, inoltre, cita, con riferimento agli acconti relativi al 2012, che potranno verificarsi le seguenti situazioni:
- se la società riceve una risposta negativa all’istanza di disapplicazione entro il termine di pagamento del primo acconto 2012, essa versa detto acconto, così come il secondo, rideterminando l’imposta 2011;
- se la società riceve una risposta negativa dopo il termine di versamento del primo acconto, essa è tenuta a calcolare gli acconti rideterminando l’imposta 2011, ma potrà versare, unitamente al secondo acconto, l’eventuale differenza non pagata con il primo acconto, senza sanzioni ma con gli interessi del 4% annuo ex art. 20 del DLgs. 241/97;
- se la società riceve una risposta positiva all’istanza di disapplicazione entro il pagamento del primo acconto, non sussistono obblighi di ricalcolo;
- se la società riceve una risposta positiva dopo il versamento del primo acconto, essa scomputa dal secondo acconto quanto eventualmente pagato in eccedenza sul primo calcolato in base all’imposta 2011 rideterminata.


Da questa fattispecie risulta chiaro che, qualora sia comunicata la risposta all’interpello  dopo il termine di versamento del primo acconto (che deve intendersi stabilito al 20 agosto 2012, per le società che possono beneficiare della proroga dei termini), la società è legittimata a versare il primo acconto medesimo senza il ricalcolo dell’imposta virtuale 2011. Se la risposta fosse positiva, anche il secondo acconto sarà determinato nei modi ordinari, mentre se fosse negativa occorrerà versare, oltre al secondo acconto maggiorato, anche la differenza non versata in sede di primo acconto con gli interessi (si tratta, per inciso, di una soluzione analoga a quella adottata per i redditi degli immobili di interesse storico-artistico).
Le società  “prudenti”, che riterranno invece di pagare il primo acconto sulla base dell’imposta virtuale 2011 maggiorata, qualora vengano invece facultate dall’Agenzia all’atto della risposta all’interpello, potranno scomputare l’eccedenza di versamento del primo acconto da quanto dovuto a titolo di secondo acconto.
Un fisco sempre più complicato, alla faccia della semplificazione tanto annunciata e mai praticata.

Dott. Victor Di Maria

Beni in uso ai soci: i chiarimenti delle Entrate a cura del Dott. Victor Di Maria


Dettate le istruzioni sulla disciplina dei beni concessi in uso ai soci o ai familiari





Una norma particolarmente ostile per la quale l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la Circolare n. 24/E del 15 giugno 2012, fornendo chiarimenti sui beni concessi in godimento ai soci o familiari dell’imprenditore. 

In particolare, è stato precisato che, nel caso in cui non sia stato determinato correttamente l’acconto seguendo le nuove regole (reddito diverso per l’utilizzatore e indeducibilità dei costi per l’impresa concedente il bene), l’eventuale omesso o non sufficiente versamento d’imposta potrà essere sanato in sede di secondo acconto a novembre, senza sanzioni e applicando gli interessi del 4% annuo. 

La regola del maggior reddito diverso in capo all’utilizzatore scatta anche quando il bene è concesso in godimento solo per una frazione dell’anno.

Dott. Victor Di Maria

Camera: Disegno di Legge "anticorruzione", introdotta la corruzione tra privati nel D.Lgs. n. 231/2001 a cura del Dott. Victor Di Maria


Il 14 giugno la Camera dei Deputati ha licenziato, con modifiche, il Disegno di Legge denominato  "anticorruzione", che passa ora al Senato.

Tra le disposizioni ricordo l'articolo 14 che, modificando le norme del Codice Civile, ne sostituisce l'articolo 2635 (Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità) 
introducendo la Corruzione tra privati.
Art. 2635. – (Corruzione tra privati). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.
Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.
Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo comma e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste.
Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.


La fattispecie è inserita nel corpus del Decreto Legislativo 231/2001, mediante l'integrazione dell'articolo 25-ter, comma 1, con la lettera 
s-bis) per il delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote.

Rinuncia ai crediti da parte dei soci rilevante ai fini ACE di Victor Di Maria


L'effetto prodotto dall'accantonamento delle imposte nei bilanci delle società di capitali spesso produce un risultato economico in perdita. Per recuperare tale perdita le società ricorrono all'utilizzo del meccanismo della rinuncia da parte dei soci ai propri crediti maturati nei confronti della società. 

Tale meccanismo consente alla società di ottenere una ricapitalizzazione indiretta, sotto diversi profili: maggiore patrimonializzazione, compensazione di perdite rilevanti ex artt. 2482-bis e ter c.c. per le srl e 2446-2447 c.c. per le spa e infine, laddove possibile, utilizzabilità del conferimento ai fini della fruizione del nuovo beneficio ACE (Aiuto alla Crescita Economica).

Il Decreto 14 marzo 2012 del Ministero dell’Economia e delle Finanze recante disposizioni di attuazione dell’articolo 1 del DL n. 201/2011 concernente l’Aiuto alla Crescita Economica (ACE) all’art. 5, comma 2, prevede, nello specifico, la rilevanza della rinuncia incondizionata dei soci ai  crediti societari e vengono accolti come elementi positivi della variazione del capitale. Tale beneficio si ha anche nel caso di compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti del capitale.

La relazione di accompagnamento al Decreto prevede che possano avere valenza ai fini del beneficio ACE soltanto i crediti di natura finanziaria (ad esempio, finanziamento da parte di soci).

Molto puntuale è l’analisi fatta da Assonime in merito al caso delle rinunce a crediti da parte dei soci, sia di natura commerciale sia di altra natura. A questo proposito, la circolare dell’Associazione sottolinea come l’esclusione di tali fattispecie dal novero degli apporti in denaro non sempre implichi la loro totale irrilevanza ai fini dell’ACE. Potrebbe, infatti, accadere che la rinuncia al credito commerciale da parte di un socio venga contabilizzata tra le sopravvenienze attive dell’esercizio in cui si perfeziona la rinuncia. Va da sé che tale componente positivo di reddito confluirà nel risultato dell’esercizio che, se accantonato a riserva, concorrerà alla formazione della base di riferimento dell’agevolazione ACE. E' del tutto pacifico, infatti, che la rinuncia del socio al suo credito vantato nei confronti della società va a beneficio di tutti i soci.

La risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 152/2002 ha precisato che, nel caso di rinuncia a un credito commerciale da parte di un socio nei confronti della società, non scatta alcuna sopravvenienza attiva in capo a quest’ultima, in quanto la rinuncia non ha alla base uno spirito di liberalità o una remissione del debito da parte di un terzo, bensì la volontà del socio di patrimonializzare la società. Tale condivisibile interpretazione di matrice fiscale chiarisce bene che, anche ai fini civilistici, la contropartita della rinuncia al credito non possa che essere una riserva del patrimonio netto. In base a tale impostazione contabile viene, però, sacrificata la potenziale agevolazione ACE.

L'Assonime delinea altre fattispecie e, volendo ancora allargare la rosa delle possibilità concrete, potremmo parlare anche del caso della rinuncia, a fondo perduto o in conto capitale, a crediti maturati da parte del socio-amministratore nei confronti della società per compensi quale amministratore, per trattamento di fine mandato, e così via.

In questi casi la situazione si complica e non di poco. Infatti, da un lato, le predette fattispecie non configurerebbero base riferimento ACE perché non derivanti da precedenti versamenti fatti dai soci e, dall’altro, il socio rinunciante potrebbe essere chiamato a dichiarare i redditi derivanti dalla rinuncia al credito nei confronti della società.
Voglio ricordare, per tale fattispecie, la C.M. n. 73 del 27 maggio 1994 la quale ha previsto che la rinuncia ai crediti correlati a redditi che vanno acquisiti a tassazione per cassa (quali, ad esempio, i compensi agli amministratori e gli interessi relativi a finanziamenti soci, il trattamento di fine mandato) presuppongono “l’avvenuto incasso giuridico” del credito e quindi l’obbligo di sottoporre a tassazione il loro ammontare anche mediante l’applicazione della ritenuta d’imposta.

Il presupposto giuridico su cui si fonda la ragione dell’Agenzia delle Entrate è l’art. 88, comma 4, del TUIR che testualmente recita: “Non si considerano sopravvenienze attive […] la rinuncia dei soci ai crediti”. A fronte di tale beneficio per la società (che sottende a una finalizzazione della rinuncia al credito da parte del socio allo scopo di patrimonializzare la società), il socio vedrebbe accrescere il valore fiscalmente riconosciuto alla propria partecipazione ai sensi dell’art. 94, comma 6 del TUIR e del chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con la propria circolare n. 52/2004.

La Cassazione, con la sentenza n. 20026/2010, richiamando implicitamente quanto asserito dal Ministero con la richiamata risoluzione, ha stabilito che la rinuncia a compensi maturati e non erogati comporta tassazione in capo al rinunciante. Ulteriore motivazione addotta è che si tratterebbe, in realtà, di utili di fatto non distribuiti.
La presunzione dell’incasso giuridico è stata, comunque, contrastata da altra parte della giurisprudenza (C.T.C., Sez. XIV del 22 aprile 1998 n. 2085; C.T.C., Sez. XIV del 10 novembre 1997 n. 5425).

Concludendo, nei casi di rinuncia da parte di un socio-amministratore a compensi o TFM maturati e non corrisposti, l’unico modo per poter beneficiare indirettamente dell’agevolazione ACE sembrerebbe quella di contabilizzare la rinuncia al credito in contropartita della voce sopravvenienze attive del Conto economico, scontando così uno sfasamento temporale rispetto all’esercizio in cui la rinuncia viene effettuata e non applicando le indicazioni del principio contabile OIC 28 che indicherebbe un transito diretto nel patrimonio netto.
Dott. Victor Di Maria