mercoledì 30 maggio 2012

Sentenza Commissione Tributaria sui prelievo dai c/c a cura del Dott.Victor Di Maria

Non devono essere considerate, ai fini delle indagini finanziarie sui conti correnti dell’imprenditore e dei suoi familiari, le operazioni che, per l’entità del loro importo, sono presumibilmente riferibili alle esigenze personali e familiari. È quanto si desume dalla sentenza della C.T. Prov. di Alessandria n. 61/01/12 del 9 maggio 2012.

Un’impresa edile costituita sotto forma di sas veniva sottoposta a verifica da parte della Guardia di Finanza, con l’ausilio delle indagini finanziarie sui conti correnti della società, del socio accomandatario, nonché della moglie e della suocera di quest’ultimo. L’Ufficio, quindi, sulla base di tali movimentazioni bancarie, notificava i relativi avvisi di accertamento.

Come noto, infatti, l’art. 32, comma 1, n. 2), del DPR 600/1973 e, ai fini IVA, l’ art. 51, comma 2, n. 2), del DPR 633/1972 consentono agli Uffici di accertare i contribuenti, ponendo a base delle rettifiche i dati e gli elementi relativi ai rapporti finanziari, dei quali i soggetti controllati non dimostrino di aver tenuto conto nella determinazione del reddito soggetto ad imposta e che non si riferiscano ad operazioni imponibili. Anche i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti sono posti come ricavi o compensi qualora i contribuenti non ne indichino il beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili.

I giudici provinciali hanno stabilito che non vi era alcun dubbio circa la riconducibilità ai ricavi aziendali delle operazioni bancarie riscontrate sul conto corrente intestato alla società e non risultanti dalle scritture contabili, in assenza di qualsivoglia diversa giustificazione.

In relazione, invece, alle operazioni rilevate sui conti correnti personali del socio accomandatario, nonché di sua moglie e di sua suocera, non giustificate in alcun modo, il collegio ha stabilito che, relativamente ai prelevanti, dovevano essere considerati solo quelli di importo superiore a 1.500 euro per il conto corrente del socio e 500 euro per quello della moglie e della suocera, atteso che i prelievi di importo inferiore dovevano ricondursi alle comuni esigenze di far fronte alle quotidiane necessità di una famiglia. Conseguentemente, solo i prelievi superiori alle predette soglie dovevano concorrere alla formazione del maggior reddito accertabile. Circa le operazioni rilevanti, poi, il contribuente avrebbe potuto fornire idonea giustificazione di una diversa natura estranea all’attività aziendale, ma non avendo allegato alcuna valida dimostrazione, tali movimentazioni finanziarie dovevano inevitabilmente ricondursi all’attività aziendale.

La Suprema Corte ha ripetutamente stabilito, del resto, che la presunzione che assiste le indagini finanziarie è di tipo legale relativo, per cui l’Amministrazione finanziaria, una volta che abbia riscontrato l’esistenza di operazioni finanziarie, è legittimata a procedere all’accertamento, senza necessità di ulteriori elementi, soltanto sulla base di tali dati finanziari, sempreché non risultino dalle scritture contabili o che per essi non sussista una diversa giustificazione che è onere del contribuente fornire (ex plurimis, Cass. 13807/2010, 14847/2008, 7766/2008).

Gli Ermellini hanno anche statuito che spetta al contribuente dimostrare l’irrilevanza fiscale delle movimentazioni finanziarie rilevate dall’Ufficio sui conti correnti dei suoi parenti, quando “si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al medesimo accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti” (Cass. 20449/2011).

L’Amministrazione finanziaria, già nel 2006, aveva stabilito, in relazione ai prelevamenti bancari dei professionisti, che quelli di minore entità dovevano ricondursi alle normali esigenze personali e familiari, esonerando, quindi, i professionisti dal fornire una precisa prova in proposito (punto 7 della circolare 28/2006). Con la circolare successiva, sempre in riferimento ai soli lavoratori autonomi, la Direzione Centrale ha istruito gli Uffici affinché “si astengano da una valutazione degli elementi acquisiti ... particolarmente rigida e formale, tale da trascurare le eventuali dimostrazioni, anche di natura presuntiva, che trattasi di spese non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la loro occasionalità e, comunque, per la loro coerenza con il tenore di vita rapportabile al volume di affari dichiarato” (punto 5.4 della circ. 32/2006).

Il principio poc’anzi espresso, però, si ritiene che possa essere esteso anche a tutti gli altri contribuenti, non professionisti, come conferma, appunto, la sentenza in commento. Per cui, in caso di indagini finanziarie, dal totale delle operazioni contestabili, occorre sempre preventivamente scomputare quei prelevamenti di importo minore (da stabilire preferibilmente in contraddittorio) tali da essere ragionevolmente riconducibili alle esigenze di vita quotidiana del contribuente e della sua famiglia.

martedì 29 maggio 2012

Emissione e uso di fatture false.|Si configura il concorso di reato

Emissione e uso di fatture false.|Si configura il concorso di reato

Imponibilita' delle borse di studio di Victor Di Maria

Le borse di studio percepite da soggetti fiscalmente residenti in Italia sono imponibili in base all’art. 50, comma 1, lett. c), del Tuir che assimila ai redditi di lavoro dipendente "le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante". Per le borse di studio erogate in favore di soggetti non residenti, invece l’imponibilità ai fini dell’Irpef risulta dall’art. 23, comma 2, lett. b), del Tuir che considera, con presunzione assoluta, “prodotti nel territorio dello Stato, se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti:... b) i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Se questa è la disposizione generale di riferimento, va fatto presente che alcune norme fuori sistema prevedono l’esenzione per talune borse di studio. Ed, infatti, come precisato dalle istruzioni per la compilazione del modello Unico 2012 PF, "devono essere dichiarate le borse di studio percepite da contribuenti residenti in Italia, a meno che non sia prevista una esenzione specifica, quale ad esempio, quella stabilita per le borse di studio corrisposte dalle Università ed Istituti di istruzione Universitaria (Legge n. 398 del 30 novembre 1989).

Mantenimento: lui ha una busta paga da 1.000 euro ma dovrà pagarne 1.100 alla ex

Mantenimento: lui ha una busta paga da 1.000 euro ma dovrà pagarne 1.100 alla ex

domenica 27 maggio 2012

L'indecenza senza limiti - Una vergogna scandalosa

Ars, 3 mila euro in più di stipendio
per lavorare dieci minuti al mese
Il caso della commissione "per la qualità della legislazione": il presidente Orazio Ragusa intasca un'indennità di 3 mila euro mensili ma l'organismo si è riunito due volte in tutto dalla vigilia di Natale, per complessivi cinquanta minuti. Di sole indennità la commissione è costata 250 mila euro
di EMANUELE LAURIA
Una seduta a Sala d'Ercole
Martedì sarà finalmente il loro giorno. Si ritroveranno come vecchi amici che si sono un po’ persi di vista, nei corridoi di un Parlamento in attesa di uno scioglimento anticipato. Si sederanno attorno a un tavolo per affrontare un argomento miracolosamente finito all’ordine del giorno (il disegno di legge sugli oratori) e, voltandosi alle spalle, forse avranno le vertigini nel rivedere il vuoto: due sedute negli ultimi cinque mesi, dalla vigilia di Natale alle porte dell’estate. Cinquanta minuti in tutto, dieci ogni mese. Tanto hanno lavorato, nel 2012, i nove deputati della commissione per la qualità della legislazione. La loro attività, nell’anno solare in corso, è consistita nell’esame del disegno di legge sulle Province (mai approdato in aula) e sui "lavori in economia nel settore forestale".

LEGGI / Buvette dell'Ars più cara, onorevoli a dieta

Il resoconto delle due riunioni, così come riportato dal sito Internet dell’Ars, non ha bisogno di commenti. Ventidue febbraio: appuntamento alle 12.10 e congedo alle 12.30, in tempo per l’aperitivo. Tredici marzo: riunione alle 15.30, sciogliete le righe alle 16. Stop. Eppure, il lavoro dei commissari non è a costo zero. Anzi, il nutrito ufficio di presidenza dell’organismo (4 componenti) prende regolarmente un’indennità aggiuntiva, a prescindere dal numero di sedute svolte. Così, ogni mese che passa il presidente Orazio Ragusa (Udc) aggiunge 2.984,55 euro (lordi) a uno stipendio base, diciamo così, che supera i 16 mila euro (sempre lordi). Le indennità dei due vicepresidenti, Ignazio Marinese (Pdl) e Giovanni Panepinto (Pd) ammontano invece a 746,24 euro mensili. Il segretario di commissione, Giovanni Greco, percepisce come extra 373,07 euro ogni mese. Cifre che solo di recente, a partire dal primo febbraio, sono state ridotte del 10 per cento. La commissione, istituita nel luglio del 2008, è già costata di sole indennità oltre 250 mila euro. E i dubbi sulla sua utilità, che si trascinano dall’inizio della legislatura, aumentano.

LEGGI / L'Ars in fibrillazione per il voto a ottobre

Nacque per una mera spartizione di poltrone, la commissione per la qualità della legislazione. All’Udc cuffariana mancava un posto, nello scacchiere delle cariche disegnato dal vecchio centrodestra. E s’inventò quest’organismo, che ha il compito — che era e rimane di competenza delle commissioni di merito e di diversi uffici dell’Assemblea — di giudicare "l’omogeneità, la semplicità, la chiarezza e la proprietà dei disegni di legge". A guidare questa task-force di giureconsulti, a carico del pubblico erario, venne posto Ragusa, un geometra che per mestiere farebbe l’agente forestale.

LEGGI / L'Ars è il consiglio regionale più costoso

E la presenza del nuovo organismo, che non esisteva nelle precedenti legislature, non è servita a evitare che importanti provvedimenti di legge si infrangessero sul muro del commissario dello Stato. Non è servita a scongiurare incidenti degni di un film di Totò, come la bocciatura della norma che avrebbe dovuto mettere in vendita il porto di Augusta: peccato che, notò il commissario dello Stato, la struttura era di proprietà dello Stato e non della Regione. Per non parlare delle recenti batoste sulla Finanziaria 2012, censurata in settanta (leggasi 70) punti dal commissario. La commissione è rimasta lì, sonnecchiante, a bruciare indennità prima che dare pareri utili. Con l’unica scusante, indicata dal presidente dell’Ars Francesco Cascio, dei pochi ddl inviati per un vaglio preventivo. Martedì, comunque, nuova riunione. Impegni permettendo.

sabato 26 maggio 2012

La politica della formattazione

1- CACCIARI A CACCIA DI ZOMBIE: “ORMAI BERLUSCONI È UN APPESTATO. CHI LO TOCCA MUORE" - 2- "HO SENTITO LA STORIA DI QUELLA SIGNORINA POLANCO CHE SI È TRAVESTITA DA BOCCASSINI PER FARLO DIVERTIRE. UN PRIMO MINISTRO CHE SI COMPORTA COSÌ TANTO NORMALE NON È" - 3- "VITTORIA SENZA SE E SENZA MA? E' UN DELIRIO DI BERSANI, SIAMO AL DELIRIO VERO. IL PD HA CONQUISTATO TANTI COMUNI MA NON HA PRESO UN VOTO IN PIÚ, ANZI. HA VINTO SOLO PERCHÉ LEGA E PDL SI PRESENTAVANO DIVISI. PURTROPPO L'ALLEANZA CON IDV E SEL È INEVITABILE E RISCHIA DI FARE LA FINE DI OCCHETTO CON LA GIOIOSA MACCHINA DA GUERRA" - 4- “MONTEZEMOLO ORMAI SCENDERÀ IN CAMPO PER FORZA, SAREBBE UNA BARZELLETTA SE NON LO FACESSE MA NON È PIÙ UNA NOVITÀ. ADESSO DA SOLO NON VA DA NESSUNA PARTE E SE SI METTE IN UNA COALIZIONE NON È LUI IL LEADER. E' UNA COSA GIÀ VECCHIA" -

Così lo Ior ha sfiduciato Gotti Tedeschi «Non hai fatto il tuo dovere»|Il testo in inglese - Corriere.it

Così lo Ior ha sfiduciato Gotti Tedeschi «Non hai fatto il tuo dovere»|Il testo in inglese - Corriere.it

La crisi della politica o dei politici di Victor Di Maria

Il regionamento portato avanti negli ultimi mesi circa la cosiddetta "crisi della politica" si avvita attorno a delle filosofie generiche e ripetute, come un tam tam, da diversi commentatori.
La cosiddetta crisi della politica altro non e' che la crisi di un'identità politica. Una prospettiva progettuale inesistente frutto di un imbarbarimento delle relazioni tra "mondo culturale" e operatori "colonnelli" e "generali" senza truppe dei partiti.
Arroccati sulla "torre" hanno perso di vista la propria stessa ragione di essere. Allora bisogna rimettere le cose al proprio posto.
In che senso ?
I partiti dovrebbero riacquistare la propria originaria funzione di rappresentazione di un modello progettuale di società, modello progettuale frutto di analisi e temi dibattuti fra e con la gente. Il capovolgimento di quello che e' accaduto da quando e' invalsa l'idea del partito fondato sul "personaggio che tira", capo popolo o "venditore di pentole" che sia.
La riconquista di uno spazio che parta dal basso e che consolidi un rapporto sinergico con i cultori della filosofia e della sociologia intrecciando il tutto in un'osmosi rigenerante.
Victor Di Maria

IL NUOVO MODELLO F24 SEMPLIFICATO a cura del Dott. Victor Di Maria

Video conferenza del Dott. Victor Di Maria

Il nuovo modello di versamento F24 Semplificato anche per versare la nuova IMU.


http://youtu.be/0UywwQO9SJA

Il Tempo - Interni Esteri - Il cameriere e il banchiere

Il Tempo - Interni Esteri - Il cameriere e il banchiere

venerdì 25 maggio 2012

Cambio cognome: una circolare del Ministero dell’interno fa il punto sulle procedure da seguire. Ricerca a cura del Dott. Victor Di Maria su Diritti e Diritti

Cambio cognome: una circolare del Ministero dell’interno fa il punto sulle procedure da seguire :: Diritto & Diritti

Il declino e la via d’uscita - micromega-online - micromega

Il declino e la via d’uscita - micromega-online - micromega

La senatrice fa shopping con la scorta.

Finocchiaro scortata all'Ikea

CATANIA - Le foto su “Chi” mostrano la senatrice del Pd Anna Finocchiaro, in tailleur rosso, che sfila tra i corridoi dell’Ikea accompagnata da tre uomini di scorta. Uno spinge un carrello con dentro uno stendino, un altro sembra consigliarla circa la tenuta e la qualità di alcune padelle anti aderenti.

In tempo di austerity, la foto fa il giro della rete scatenando l'ira degli indignati che creano un hastag su Twitter dal titolo #finocchiarovergogna, che scala la classifica delle conversazioni più commentate. Soprattutto indignati. Possibile che anche per andare in un negozio d’arredamento la senatrice abbia bisogno della scorta? E’ questa l’argomentazione più condivisa.

La senatrice Finocchiaro si è difesa, intervenendo proprio su Twitter e Facebook. "Ho visto le foto  che mi ritraggono, accompagnata dalla scorta, mentre faccio acquisti all’Ikea di Roma. Voglio solo precisare che la ‘scorta’, come i titoli la definiscono, mi è stata assegnata dal Ministero dell’ Interno per ragioni che, ovviamente, non devo e non posso rendere note. Per me non è un piacere avere la scorta che deve seguirmi ed è obbligata ad accompagnarmi in tutti i miei spostamenti e nei luoghi pubblici, anche nei negozi e nei supermercati (e all’Ikea ) che frequento come tutti gli altri cittadini".

Agenzia e “Imprese che resistono”: un confronto ad armi impari a cura Victor Di Maria

Agenzia e “Imprese che resistono”: |dal confronto nasce la soluzione

giovedì 24 maggio 2012

I partiti e la logica del ricatto


Partiti, via libera all'emendamento
che stoppa i rimborsi ai Cinque Stelle



Beppe Grillo combatte da anni contro i finanziamenti ai partiti

Niente finanziamento ai gruppi senza statuto. La replica: noi
quei soldi non li chiederemo mai

ROMA
L’onda d’urto della vittoria di Beppe Grillo alle amministrative fa sentire i suoi primi effetti in Parlamento. Dove il comico minaccia, con buone speranze, di far sbarcare in forze il prossimo anno il suo Movimento 5 Stelle. Alla Camera viene infatti approvato una norma che sembra fatta apposta per mettere in difficoltà i grillini: niente contributi pubblici a chi, come M5S, non ha uno statuto da partito tradizionale.

Il comico scrollerà forse le spalle, visto che il M5S da sempre i soldi pubblici li rifiuta. Ma intanto dalle pagine del suo blog si gode la vittoria elettorale: «Ci vediamo in Parlamento», ripete ogni giorno, vantandosi di aver intercettato i voti più ambiti dai partiti:quelli di chi finora si era astenuto.

«Ai ballottaggi dove era presente il M5S vi è stata un’alta affluenza ai seggi. Questo è il dato più importante per il M5S: il voto di molti cittadini che si erano allontanati dalla politica», ha scritto ieri notte Grillo, nel riportare i dati secondo cui nelle città in cui il Movimento ha vinto, non c’è stata una fuga dal voto massiccia come altrove («A Mira affluenza del 50,49%, a Comacchio 57,1%, a Parma 61,18%»).

Il messaggio del comico è chiaro: possono anche dichiarare, Pdl e Pd, che a Parma il grillino Federico Pizzarotti ha vinto con i voti del centrodestra. In realtà invece il M5S riesce a raccogliere consensi che ai partiti sfuggono di mano: quelli di chi si era rifugiato nell’astensionismo.

Intanto alla Camera, dove in molti guardano con preoccupazione ai grillini, viene approvato un emendamento al testo “Abc” sul finanziamento ai partiti che appare studiato per mettere il bastone tra le ruote proprio a una forza politica come quella di Grillo. La norma a prima firma di Pier Luigi Mantini (Udc) prevede infatti che acceda ai rimborsi elettorali solo chi abbia uno statuto interno «conformato a principi democratici». Insomma, spiega Mantini (che però nega si tratti di «riforma contro Grillo»), se il M5S vorrà i rimborsi «dovrà diventare prima un partito...».

Ma Grillo probabilmente non sarà affatto intimorito dalla mossa del Parlamento. Non solo infatti si vanta di aver vinto a Parma con soli 6mila euro autofinanziati e i soldi pubblici li rifiuta. Ma nel “Non Statuto” del M5S ha anche scritto che il Movimento, di cui lui stesso detiene il simbolo, non diventerà mai partito.

«Grillo è figlio di questo momento, dell’antipolitica», sentenzia intanto Silvio Berlusconi, pronto a fare i complimenti al blogger, ma convinto che il M5S sia «una bolla», che serve a «dare il segnale» ai partiti «di una profonda necessità di rinnovamento». «Non ci sfuggono i segnali di malessere» degli elettori, dice dal Pd Massimo D’Alema. Secondo il quale anche una parte di quella borghesia che «agisce per smantellare» il Pd, è pronta a sostenere Grillo. Ma, avverte, c’è da stare attenti: se lui «dovesse vincere in Italia sarebbe il crac».

Chiarimenti UMU - La circolare MEF a cura del Dott. Victor Di Maria


Chiarimenti IMU: ecco la circolare del MEF


Con una circolare di 64 pagine accompagnata da 57 slide esplicative, contribuenti e professionisti hanno tutti gli elementi per poter finalmente calcolare l’IMU. E’ una circolare corposa che cerca di spiegare il nuovo tributo nato dalla fretta di porre rimedio ai conti disastrati e che contiene una serie di difetti solo in parte affrontati nelle stessa circolare.
La circolare n. 3/DF del 18 maggio 2012 emanata dal Dipartimento delle Finanze del MEF fa luce sull’oggetto dell’IMU, i presupposti soggettivo e oggettivo, le modalità di calcolo dell’IMU, le agevolazioni, le esenzioni e le detrazioni e soprattutto affronta i casi più diffusi relativi all’abitazione principale e pertinenze, alle modalità di applicazione delle agevolazioni per categorie particolari di fabbricato o terreno e la dichiarazione IMU.

Tra le indicazioni di maggiore interesse contenute nel documento di prassi vanno segnalate:
  1. l’IMU sostituisce l’ICI e l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e relative addizionali dovute con riferimento ai redditi fondiari riguardanti i beni non locati. E’ stato precisato che la locuzione “beni non locati” ricomprende sia i fabbricati che i terreni.
  2. Il documento individua la definizione di abitazione principale.Questa deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare distintamente iscritta in catasto. In tal caso, le singole unità immobiliari vanno assoggettate separatamente ad imposizione, ciascuna per la propria rendita. Il contribuente può scegliere quale unità immobiliare destinare ad abitazione principale, con applicazione delle agevolazioni e delle riduzioni IMU per questa previste. Le altre, invece, vanno considerate come abitazioni diverse da quella principale con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal Comune per tali tipologie di fabbricati. Il contribuente non può, quindi, applicare le agevolazioni per più di una unità immobiliare, a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario.
  3. Le pertinenze dell’abitazione principale: rientra nel limite massimo delle tre pertinenze (una per ogni tipologia C/2, C/6 e C/7) anche quella che risulta iscritta in catasto unitamente all’abitazione principale. Entro tale limite, il contribuente ha la facoltà di individuare le pertinenze per le quali applicare il regime agevolato. Il documento si preoccupa di chiarire il concetto con alcuni esempi:
    - il contribuente che possiede 3 pertinenze di cui una cantina accatastata come C/2 e due garage classificati come C/6 dovrà individuare fra questi ultimi la pertinenza da collegare all’abitazione principale.
    - Se, però, la cantina risulta iscritta congiuntamente all’abitazione principale, il contribuente deve applicare le agevolazioni previste per tale fattispecie solo ad altre due pertinenze di categoria catastale diversa da C/2, poiché in quest’ultima rientrerebbe la cantina iscritta in catasto congiuntamente all’abitazione principale. Le eventuali ulteriori pertinenze sono assoggettate all’aliquota ordinaria.
    - Nel caso in cui due pertinenze (di solito la soffitta e la cantina) siano accatastate unitamente all’unità ad uso abitativo, in base alle norme tecniche catastali, la rendita attribuita all’abitazione ricomprende anche la redditività di tali porzioni immobiliari non connesse. Pertanto, poiché dette pertinenze, se fossero accatastate separatamente, sarebbero classificate entrambe in categoria C/2, per rendere operante la disposizione in esame, il contribuente può usufruire delle agevolazioni per l’abitazione principale solo per un’altra pertinenza classificata in categoria catastale C/6 o C/7.
  4. L’aliquota e la detrazione per l’abitazione principale e per le relative pertinenze devono essere uniche per nucleo familiare indipendentemente dalla dimora abituale e dalla residenza anagrafica dei rispettivi componenti. Anche qui abbiamo degli esempi.
    - Se nell’immobile in comproprietà fra i coniugi, destinato ad abitazione principale, risiede e dimora solo uno dei coniugi (non legalmente separati) poiché l’altro risiede e dimora in un diverso immobile, situato nello stesso Comune, l’agevolazione non viene totalmente persa, ma spetta solo ad uno dei due coniugi.
    - Nell’ipotesi in cui sia un figlio a dimorare in altro immobile nello stesso Comune, e, quindi, costituisce un nuovo nucleo familiare, il genitore perde solo l’eventuale maggiorazione della detrazione.
    - Non ci sono restrizioni invece nel caso in cui i due coniugi abitano in immobili ubicati in Comuni diversi (per esempio per esigenze lavorative).
  5. Per quanto concerne l’ulteriore detrazione di € 50,00 per ciascun figlio di età non superiore a 26 anni, la circolare snocciola una serie di precisazioni ed esempi da cui si rilevano le modalità per considerare l’età, l’irrilevanza della condizione di figlio fiscalmente a carico nonché una serie di casi concreti per la fruizione dell’agevolazione che la legano sia al possesso del diritto reale che alla condizione di genitorialità.
  6. Per quanto concerne i terreni (si veda anche il contributo “IMU e agricoltura: terreni agricoli e fabbricati rurali” di Massimo D’Amico) va segnalato che la disciplina dell’IMU mutua dall’ICI una specifica esenzione per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate (cfr. art. 15 della L. n. 984/77 – art. 7, comma 1, lett. h del DLgs. n. 504/92 – art. 9, comma 8 del DLgs. n. 23/2011 – art. 13 del DL n. 201/2011). La circolare conferma che, fino all’emanazione del Decreto interministeriale (art. 4, comma 5-bis, del DL n. 16/2012), si continua a fare riferimento all’elenco dei Comuni collinari e montani allegato alla circolare ministeriale n. 9/1993. Il Decreto di prossima pubblicazione individuerà i Comuni nei quali si renderà successivamente applicabile l’esenzione, sulla base dell’altitudine nonché, eventualmente, della redditività dei terreni.
  7. Sul fronte del versamento dell’acconto del 18 giugno prossimo, il Ministero sottolinea che – anche qualora i Comuni abbiano deliberato le aliquote e le detrazioni dell’IMU prima della scadenza del termine di pagamento della prima rata – queste non possono essere comunque considerate definitive. Pertanto non è possibile versare l’imposta in unica soluzione. Infatti, non solo le aliquote e le detrazioni eventualmente deliberate dai Comuni possono essere rivisitate entro il 30 settembre 2012, ma anche quelle stabilite dalla legge possono essere modificate successivamente con D.P.C.M. per assicurare l’ammontare complessivo del gettito previsto per il 2012.
  8. Per la dichiarazione IMU si attende il provvedimento istitutivo. Al contribuente va garantito il rispetto del termine di 90 giorni previsto per la presentazione della dichiarazione. Pertanto, i casi di prossimità vanno risolti considerando il termine più lungo dei 90 giorni (per esempio se l’obbligo dichiarativo è sorto il 30 settembre il contribuente potrà presentare la dichiarazione IMU entro il 29 dicembre 2012). La dichiarazione IMU per i fabbricati rurali non censiti in catasto deve essere presentata entro 90 giorni dalla data del 30 novembre 2012, termine ultimo previsto dalla stessa norma ed entro il quale deve essere presentata la dichiarazione di detti immobili nel catasto edilizio. I casi per i quali è fatto obbligo di presentazione della dichiarazione IMU sono alquanto ridotti e al contempo sono salvi i principi su cui si basava la dichiarazione ICI.

Blindata del Procuratore oggetto di intimidazione


Blindata del procuratore inseguita
da auto a velocità folle in autostrada

L'intimidazione, che si sospetta sia di stampo mafioso, ai danni di Marcello Viola, che guida i pm di Trapani ed è stato in passato titolare di indagini sul clan Lo Piccolo

Marcello ViolaMarcello Viola
TRAPANI - La sua vettura blindata sarebbe stata inseguita da un'auto con vetri oscurati che correva a velocità folle lungo l'autostrada Palermo-Trapani. Il tutto sarebbe durato circa mezzora. È quanto accaduto il 19 aprile scorso al procuratore di Trapani Marcello Viola, 54 anni, originario di Cammarata nell'Agrigentino: un'intimidazione resa nota solo oggi, e chi si sospetta di stampo mafioso, sulla quale sta indagando la procura di Caltanissetta. Episodio che inquieta ancor di più alla luce di quanto detto ieri, mercoledì 23 maggio, durante la commemorazione per il ventennale dell'eccidio di Capaci dal presidente della Repubblica Napolitano: «Che la criminalità organizzata possa oggi anche tentare feroci ritorni alla violenza di stampo stragista e terroristico», ha detto il capo dello Stato nell'aula bunker dell'Ucciardone, a Palermo «non possiamo escluderlo».
RAFFORZATA LA SCORTA - Nell'Audi grigia che ha tallonato per circa quaranta chilometri l'auto del magistrato, costretta a raggiungere i 200 chilometri orari, c'erano almeno due persone che, alle porte di Trapani, si sono poi dileguate. Per gli inquirenti si tratta di un episodio gravissimo. Per anni alla Dda di Palermo, titolare di importanti indagini sulla cosca dei boss Lo Piccolo, Viola dal dicembre scorso guida la Procura trapanese. Dopo l'episodio gli è stata raddoppiata la tutela e concessa la scorta, con un'altra blindata al seguito. L'episodio è avvenuto il giorno prima di un'udienza prevista alla sezione misure di prevenzione del tribunale di Trapani, alla quale lo stesso Viola e i suoi sostituti hanno chiesto il sequestro e la confisca del patrimonio dell'imprenditore Carmelo Patti, patron della Valtur, valutato circa cinque miliardi di euro. Negli ultimi mesi alla Procura di Trapani sono arrivati una serie di esposti anonimi minacciosi e altri che danno "informazioni" su presunte notizie di reato. La provincia di Trapani è, tra l'altro, quella in cui potrebbe nascondersi il boss latitante Matteo Messina Denaro, l'unico stragista del '92-'93 non ancora all'ergastolo, come ha ricordato ieri il presidente Giorgio Napolitano nel corso del suo discorso all'aula bunker.
SOLIDARIETA' DEI COLLEGHI - La giunta dell'Anm di Palermo, attraverso una nota del presidente Antonino di Matteo, ha espresso «convinta solidarietà e vicinanza di tutti i magistrati del distretto al collega Marcello Viola, procuratore della Repubblica di Trapani, per l'ennesima recente grave intimidazione nei suoi confronti e, a fronte della reiterazione sempre più evidente di episodi dello stesso genere, ribadisce la necessità di tenere viva l'attenzione sulla questione della sicurezza dei magistrati impegnati a tutela della legalità in territori ad alta densità mafiosa».

Avvisi bonari: la posizione dell'Agenzia delle Entrate di Victor Di Maria


Avvisi bonari: l’Agenzia resta nella sua posizione

Con un comunicato stampa, l’Agenzia delle Entrate si dissocia dalla sentenza della Cassazione che sosteneva l’impugnabilità degli avvisi bonari

Dopo la clamorosa sentenza n. 7344/2012 della Cassazione, la quale affermava la possibilità di impugnare gli avvisi bonari (comunicazioni di irregolarità), l’Agenzia delle Entrate chiarisce la propria posizione con un comunicato stampa pubblicato ieri 23 maggio 2012. In particolare, l’Agenzia delle Entrate conferma la propria adesione all’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, ribadito dalle sentenze della Cassazione n. 16293/2007 e n. 16428/2007, secondo cui èesclusa l’impugnabilità degli avvisi bonari, con i quali si invitano i contribuenti a fornire eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di liquidazione delle dichiarazioni. Gli Uffici, pertanto, continueranno a sostenere l’inammissibilità dei ricorsi eventualmente proposti contro gli avvisi bonari.

Le regole per la partecipazione all'affidamento di appalti non valgono per tutti.

Fastweb e Telecom alla guerra per appalto pubblico da 500 milioni. Ricorso al Tar – Il Fatto Quotidiano

Cei e pedofilia: un caso alla Totò - ATTUALITA

Cei e pedofilia: un caso alla Totò - ATTUALITA

Orlando: "Ecco cosa faremo"

La certificazione dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione. Assurdità all'italiana di Victor Di Maria

CERTIFICAZIONE DEI CREDITI VANTATI NEI CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - UNA PROCEDURA ASSURDA

La norma prevede che il debitore (la pubblica amministrazione) rilasci una certificazione del credito ma solo dopo 60 giorni dalla presentazione di un'istanza da parte del privato titolare del credito. Assurdo e fuori dalle norme generali previsto dal codice civile. Il creditore può ottenere la certificazione del credito dal debitore il quale, se decidesse di non riconoscere tale debito, rimarrebbe non vincolato con la nuova procedura. "io la canto ed io la suono".

RISCOSSIONE
Crediti verso la P.A., certificazione entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza
Lo prevede la bozza di uno dei decreti presentati dal Governo per attenuare il problema dei ritardati pagamenti alle imprese



Il sistema che il Governo ha delineato per attenuare la problematica dei ritardati pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione nei confronti delle imprese è imperniato sulla certificazione dei crediti da parte degli enti debitori, regolamentata con due dei quattro decreti che sono stati emanati.

Il meccanismo della certificazione è stato introdotto nel nostro sistema con il comma 3-bis dell’art. 9 del DL 185/2008, mentre ulteriori interventi in materia sono stati realizzati con l’art. 13 della L. 183/2011 e con il recente DL 16/2012 (art. 12). La certificazione è funzionale a diversi “utilizzi” del credito: la sua cessione pro soluto o pro solvendo, l’ottenimento dell’anticipazione del credito da parte del sistema bancario, la compensazione con eventuali somme iscritte a ruolo entro il 30 aprile 2012.

Oggetto della certificazione sono i crediti vantati nei confronti di Regioni, Enti locali ed enti del Servizio Sanitario Nazionale in relazione a rapporti di somministrazione, fornitura e appalto. Va però evidenziato come il comma 2 dell’art. 1 della bozza di decreto circolata ieri esclude dall’ambito applicativo della disposizione i crediti verso gli enti commissariati, ma soprattutto nei confronti delle Regioni in deficit sanitario (penalizzando in questo modo ulteriormente le imprese interessate).

A regime, il sistema di certificazione sarà interamente telematico, poggiando su una piattaforma elettronica che verrà predisposta nei prossimi mesi: la piattaforma, oltre che dalle amministrazioni debitrici, dovrà essere utilizzata da parte delle imprese creditrici, che si dovranno abilitare su di essa per presentare l’istanza di certificazione.

Fino a quando non sarà a disposizione la procedura telematica disciplinata dall’art. 4 della bozza di decreto, la certificazione seguirà quella “ordinaria” prevista dall’art. 3, che inizia con la presentazione di un’istanza cartacea da parte dell’impresa.

L’istanza deve essere predisposta sulla base del modello all’allegato 1 della bozza decreto che, oltre ai dati identificativi del creditore, dell’amministrazione interessata e della posizione creditoria, deve contenere una serie di dichiarazioni che attestino che:
- non vi sono procedimenti giurisdizionali pendenti in relazione al credito in questione;
- il creditore si impegna a non attivare procedimenti di recupero del credito e a non cederlo a terzi durante la procedura di certificazione;
- nel caso di rilascio della certificazione, il creditore si asterrà dall’attivare procedimenti giurisdizionali fino alla data indicata per il pagamento o, in mancanza, nei 12 mesi successivi alla data di certificazione;
- vi è o meno l’intenzione di utilizzo in compensazione del credito con somme iscritte a ruolo.

Entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza da parte dell’impresa, l’amministrazione debitrice dovrà rilasciare la certificazione, numerata progressivamente, utilizzando il modello di cui all’allegato 2 della bozza di decreto.
Nel caso in cui il credito superi l’importo di 10.000 euro, sulla base di quanto previsto dall’art. 48-bis del DPR 602/1973, nella certificazione l’amministrazione interessata dovrà dare atto di aver verificato l’esistenza di cartelle di pagamento non onorate da parte del creditore (indicando eventualmente il loro ammontare).

La certificazione dovrà attestare che il credito è certo, liquido ed esigibile a quella data, ovvero, in alternativa, che esso è totalmente o parzialmente insussistente o inesigibile, motivandone però le ragioni. Deve essere indicata anche la data di pagamento, che non può essere successiva ai 12 mesi dalla data della presentazione dell’istanza di certificazione da parte dell’impresa (o l’impossibilità di fissarla qualora scatti il meccanismo d’incompatibilità con i vincoli del Patto di stabilità interno).

Nella peggiore delle ipotesi, 120 giorni per ottenere la certificazione
L’art. 5 della bozza di decreto regolamenta anche la fattispecie della eventuale “inerzia” dell’amministrazione interessata, al fine di tutelare l’impresa che fosse danneggiata da un comportamento di questo tipo.
Decorso il termine di 60 giorni dalla presentazione dell’istanza senza che l’amministrazione debitrice abbia rilasciato la certificazione (o rilevato l’insussistenza o inesigibilità del credito), l’impresa può presentare istanza di nomina di un commissario ad acta alla Ragioneria Territoriale dello Stato. Considerato che, entro 10 giorni dall’istanza il commissario deve essere nominato, e poi questi ha ulteriori 50 giorni per provvedere al rilascio della certificazione, nella peggiore delle ipotesi, quindi, le imprese interessate dovranno attendere un termine massimo di 120 giorni per vedere i propri crediti certificati.

mercoledì 23 maggio 2012

Ricerca a cura di Victor Di Maria - Così diceva Orlando di Falcone


La storia di Leoluca Orlando e Giovanni Falcone di Filippo Facci

20 maggio 2012
È la storia, questa, di un tradimento orribile da raccontare proprio nei giorni in cui Leoluca Orlando potrebbe diventare sindaco di Palermo per la terza volta, e che sono gli stessi giorni nei quali si celebra il ventennale della morte di Giovanni Falcone. Difatti «Orlando era un amico», racconta oggi Maria Falcone, sorella di Giovanni. «Erano stati amici, avevano pure fatto un viaggio insieme in Russia… Orlando viene ricordato soprattutto per quel periodo che in molti chiamarono Primavera di Palermo, ma anche per lo scontro durissimo che ebbe con Giovanni e che fu un duro colpo, distruttivo per l’antimafia in generale». Uno scontro che va raccontato bene, al di là della dignitosa discrezione adottata da Maria Falcone inGiovanni Falcone, un eroe solo da lei scritto di recente per Rizzoli.
Siamo nei tardi anni Ottanta. Leoluca Orlando, tuonando contro gli andreottiani, era diventato sindaco nel 1985 e aveva inaugurato la citata Primavera di Palermo che auspicava un gioco di sponda tra procura e istituzioni. Però, a un certo punto, dopo che il 16 dicembre 1987 la Corte d’assise di Palermo aveva comminato 19 ergastoli nel cosiddetto «maxiprocesso», qualcosa cambiò. Tutti si attendevano che il nuovo consigliere istruttore di Palermo dovesse essere lui, Falcone: ma il Csm, il 19 gennaio 1988, scelse Antonino Meli seguendo il criterio dell’anzianità. E a Falcone cominciarono a voltare le spalle in tanti. Con Orlando, tuttavia, vi fu un episodio scatenante: «Orlando ce l’aveva con Falcone», ha ricordato l’ex ministro Claudio Martelli ad Annozero, nel 2009, «perché aveva riarrestato l’ex sindaco Vito Ciancimino con l’accusa di essere tornato a fare affari e appalti a Palermo con sindaco Leoluca Orlando, questo l’ha raccontato Falcone al Csm per filo e per segno». Il fatto è vero: fu lo stesso Falcone, in conferenza stampa, a spiegare che Ciancimino era accusato di essere il manovratore di alcuni appalti col Comune sino al 1988: si trova persino su YouTube.
Quando Falcone accettò l’invito di dirigere gli Affari penali al ministero della Giustizia, poi, la gragnuola delle accuse non poté che aumentare. Fu durante una puntata di Samarcanda del maggio 1990, in particolare, che Orlando scagliò le sue accuse peggiori: Falcone – disse – ha una serie di documenti sui delitti eccellenti ma li tiene chiusi nei cassetti. Per l’esattezza il riferimento era a otto scatole lasciate da Rocco Chinnici e a un armadio pieno di carte. Le trasmissioni condotte da Michele Santoro erano dedicate a una serie di omicidi di mafia, e «io sono convinto», tuonò Orlando, «che dentro i cassetti del Palazzo di Giustizia ce n’è abbastanza per fare chiarezza su quei delitti». L’accusa verrà ripetuta a ritornello anche da molti uomini del movimento di Orlando, tra i quali Carmine Mancuso e Alfredo Galasso. Divertente, o quasi, che tra gli accusati di vicinanza andreottiana – oltre a Falcone – figurava anche il suo collega Roberto Scarpinato, cioè colui che pochi anni dopo istruirà proprio il processo per mafia contro Andreotti.
È di quei giorni, comunque, uno slogan di Orlando che fece epoca: «Il sospetto è l’anticamera della verità». Falcone rispose a mezzo stampa: «È un modo di far politica che noi rifiutiamo… Se Orlando sa qualcosa faccia i nomi e i cognomi, citi i fatti, si assuma la responsabilità di quel che ha detto, altrimenti taccia. Non è vero che le inchieste sono a un punto morto. È vero il contrario: ci sono stati sviluppi corposi, con imputati e accertamenti». Ma Orlando era un carroarmato: «Diede inizio», scriverà Maria, a una vera e propria campagna denigratoria contro mio fratello, sfruttando le proprie risorse per lanciare accuse attraverso i media». Così aveva già fatto nell’estate del 1989, quando il pentito Giuseppe Pellegriti accusò il democristiano Salvo Lima di essere il mandante di una serie di delitti palermitani: Falcone fiutò subito la calunnia ma Orlando si convinse che il giudice volesse proteggere Lima e Andreotti. «Seguirono mesi di lunghe dichiarazioni e illazioni da parte di Orlando, che voleva diventare l’unico paladino antimafia», ha scritto ancora Maria Falcone.
Del fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura, vicino a Palermo, torneremo a scrivere nei prossimi giorni. Per ora appuntiamoci soltanto quanto scrisse il comunista Gerardo Chiaromonte, defunto presidente della Commissione Antimafia: «I seguaci di Orlando sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità».
Orlando era instancabile. Tornò alla carica il 14 agosto 1991, quando rilasciò un’intervista su l‘Unità poi titolata «Indagate sui politici, i nomi ci sono»: «Sono migliaia e migliaia i nomi, gli episodi a conferma dei rapporti tra mafia e politica. Ma quella verità non entra neppure nei dibattimenti, viene sistematicamente stralciata, depositata, e neppure rischia di diventare verità processuale… Si è fatto veramente tutto, da parte di tutti, per individuare responsabilità di politici come Lima e Gunnella, ma anche meno noti come Drago, il capo degli andreottiani di Catania, Pietro Pizzo, socialista e senatore di Marsala, o Turi Lombardo? E quante inchieste si sono fermate non appena sono emersi i nomi di Andreotti, Martelli e De Michelis?». Orlando citò espressamente, tra i presunti insabbiatori, «la Procura di Palermo» e implicitamente Falcone. Per il resto, tutte le accuse risulteranno lanciate a casaccio. Poco tempo dopo, il 26 settembre 1991, al Maurizio Costanzo Show, ad attaccare Falcone fu il sodale di Orlando, Alfredo Galasso.
Lo stesso Galasso assieme a Carmine Mancuso e a Leoluca Orlando, l’11 settembre precedente, aveva fatto un esposto al Csm che sarà il colpo finale: si chiedevano spiegazioni sull’insabbiamento delle indagini sui delitti Reina, Mattarella, La Torre, Insalaco e Bonsignore e anche sui rapporti tra Salvo Lima e Stefano Bontate e sulla loggia massonica Diaz e poi appunto sulle famose carte nei cassetti. Così, dopo circa un mese, il 15 ottobre, Falcone dovette vergognosamente discolparsi davanti al Csm. Non ebbe certo problemi a farlo, ma fu preso dallo sconforto: «Non si può andare avanti in questa maniera, è un linciaggio morale continuo… Non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del komeinismo». Racconterà Francesco Cossiga nel 2008, in un’intervista al Corriere della Sera: «Quel giorno lui uscì dal Csm e venne da me piangendo. Voleva andar via».
Anche della strage di Capaci torneremo a raccontare. Ora restiamo a Orlando, e a quando il 23 maggio 1992, a macerie fumanti, da ex amico e traditore si riaffaccerà sul proscenio come se nulla fosse stato. Il quotidiano la Repubblica gli diede una mano: «A mezzanotte e un quarto una sirena squarcia il silenzio irreale del Palazzo di Giustizia di Palermo. Arriva Antonio Di Pietro da Milano, il giudice delle tangenti, il Falcone del Nord… Con lui ci sono Nando Dalla Chiesa, Carmine Mancuso e Leoluca Orlando». Cioè parte degli accoltellatori, quelli dell’esposto al Csm. Proprio loro. Partirà da quel giorno un macabro carnevale di sfruttamento politico, editoriale, giudiziario e «culturale» dell’icona di un uomo che ne avrebbe avuto soltanto orrore.
Il 25 gennaio 1993, intervenendo telefonicamente a Mixer su Raidue, Maria Falcone disse a Leoluca Orlando: «Hai infangato il nome, la dignità e l’onorabilità di un giudice che ha sempre dato prova di essere integerrimo e strenuo difensore dello Stato. Hai approfittato di determinati limiti dei procedimenti giudiziari, per fare, come diceva Giovanni, politica attraverso il sistema giudiziario».
Il 18 luglio 2008, intervistato da KlausCondicio, Orlando l’ha messa così: «C’è stata una difficoltà di comprensione con Giovanni Falcone». Una difficoltà di comprensione. E poi: «Ma ridirei esattamente le stesse cose… Ho avuto insulti ai quali non ho mai replicato, perché credo che sia anche questa una forma di rispetto per le battaglie che io ho fatto… (pausa, poi aggiunge) … e che Giovanni Falcone meglio di me ha fatto, perché trascinare una storia straordinaria come quella di Falcone dentro una polemica politica, francamente, è cosa di basso conio». E lui non l’avrebbe mai fatto.

Salpano le Navi della Legalità, |tra i passeggeri anche l’Agenzia delle Entrate

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lunedì 21 maggio 2012

Proroga Versamenti Unico 2012 a cura del Dott. Victor Di Maria


Versamenti imposte derivanti da UNICO: in arrivo la proroga

E’ alla firma del Presidente del Consiglio dei Ministri un Dpcm che proroga i versamenti delle imposte di Unico al 9 luglio e al 20 agosto con maggiorazione dello 0,40%

Il Governo ha messo a punto un Dpcm che dovrà ora essere firmato dal Consiglio dei Ministri e che concederà 20 giorni di tempo in più per il calcolo ed il pagamento delle imposte derivanti da Unico 2012. In particolare, i contribuenti che presentano la dichiarazione unificata potranno versare le imposte entro il 9 luglio 2012 (anziché entro il 18 giugno 2012), ovvero entro il 20 agosto 2012(anziché entro il 18 luglio) con la maggiorazione dello 0,40%. Non viene, invece, prorogato il versamento dell’Imu, la cui prima scadenza resta al 18 giugno 2012.

Dott. Victor Di Maria

Victor Di Maria: rassegna stampa - Costa scaricato in un mare di debiti | LinkSicilia

Costa scaricato in un mare di debiti | LinkSicilia

Nello stile di una certa cultura da Kaimani. Usa e getta. Un meccanismo collaudato per distruggere una figura politica che ingenuamente si è fidato dei propri pseudo alleati.

Ue: in Italia record pressione fisco sul lavoro

Ue: in Italia record pressione fisco sul lavoro

Partecipa al 'big push' @Shell ! | (((IO PRETENDO DIGNITÀ))) - La Community di Amnesty International

Partecipa al 'big push' @Shell ! | (((IO PRETENDO DIGNITÀ))) - La Community di Amnesty International

Al di la della retorica - Victor Di Maria - Salvador allende - Venceremos

Inti-Illimani - El pueblo unido jamás será vencido, de 1974, subtitulado...


Salvatore Giuliano


Ultima modifica: 18/3/2012



Giuliano
Giuliano nacque a Montelepre (provincia di Palermo) nel 1922. Aveva vent'anni quando, verso la fine del 1942, i nazisti cominciarono ad essere sconfitti dagli Alleati. Gli USA si preparavano allo sbarco in Sicilia e consideravano l'ipotesi di trasformare l'isola in uno Stato "indipendente", cioè un loro Paese-satellite. Per mezzo dei gangster italo-americani l'OSS si mise in contatto con la mafia siciliana ed appoggiò il Comitato per l'Indipendenza della Sicilia (CIS), che poi si trasformò in MIS (Movimento Indipendenista Siciliano, detto anche "separatista").
xx
Fra le truppe USA che sbarcarono nel luglio 1943 erano presenti alcuni famosi gangster che circolano in uniforme dell'esercito USA ed esercitano funzioni pubbliche nell'amministrazione alleata d'occupazione (Albert Anastasia, capo della "Anonima Omicidi", VitoGenovese, Lucky Luciano, Max Mugnani).
La carriera di Giuliano come bandito ed eroe popolare cominciò nel 1943, dopo lo sbarco degli USA in Sicilia, con l'uccisione di una guardia del dazio, che voleva sequestrargli un sacco di farina "destinato ai bambini del suo paese", come dice la leggenda, dopo averne lasciato passare un camion pieno (evidentemente di "amici").
Nella foto: Giuliano con Vito Genovese in divisa dell'esercito USA.
Dopo l'omicidio, Giuliano si dà alla macchia e forma una banda nella zona di Montelepre, che diventa il suo "regno". Nel 1943 entra in contatto, per mezzo della CIA e della mafia, con i capi del separatismo siciliano (MIS), guidato da Finocchiaro Aprile e composto da mafiosi e democristiani che hanno eliminato la componente di sinistra in seno al movimento.
Giuliano diventa capo dell'EVIS e mantiene stretti rapporti con il Comando alleato. Nel 1946 rifiuta di deporre le armi malgrado l'accordo fra i separatisti e lo Stato italiano (pretende l'amnistia per sè e per i suoi uomini).

Secondo la versione ufficiale dei fatti, il primo maggio 1947 la banda Giuliano sparò, a Portella delle Ginestre, contro i lavoratori che partecipavano alla tradizionale festa (11 morti, tra cui donne e bambini, 27 feriti).
Questa versione fu accettata ed ampiamente diffusa da tutti i mass media e da tutti i partiti,  nessuno escluso.  Forse soltanto gli abitanti della zona non si lasciarono ingannare, come poi fu dimostrato dal loro comportamento. Migliaia di contadini analfabeti avevano capito ciò che nessuno degli intellettuali e dei politici aveva saputo (o voluto) neanche sospettare.
Eppure sarebbero state alla portata di chiunque alcune elementari riflessioni:
  • Giuliano, all'epoca, aveva l'appoggio della mafia, che era ancora (ma lo sarebbe rimasta ancora per poco) la vecchia "onorata società"
  • tanto Giuliano quanto la mafia fondavano tutto il loro potere sulla solidarietà della popolazione, sulla comune avversione al governo centrale, sul rispetto di codici di comportamento che  in nessun caso  avrebbero ammesso una strage di donne, bambini, uomini pacificamente in festa e disarmati
  • un'azione del genere, oltre ad essere  inconcepibile,  da parte loro sarebbe stata semplicemente  suicida.  Ben diversa sarebbe stata la "Cosa Nostra" importata dagli USA, che infatti finì suicida, disprezzata da tutti, con lo sterminio reciproco delle cosche: all'americana. Una cosa che in Sicilia non si era mai vista
  • Giuliano, in particolare, era – e ci teneva ad essere – un bandito-eroe, Tutto lo dimostra, a cominciare dalla leggenda del sacco di farina "per i bambini". I modelli tradizionalmente accettati e venerati per secoli dal popolo erano del genere del bandito Testalonga, il cui eroismo contrastava con la viltà di spie, delatori e traditori, o del brigante Catinella, un Robin Hood specializzato nel sequestro di ricchi, che divideva il riscatto con la popolazione
  • mai era accaduto in passato, nè mai accadde in seguito, che anche soltanto un uomo venisse ucciso dalla mafia a causa delle sue idee politiche, della sua partecipazione a movimenti sindacali ecc.
  • uomini come Lorenzo Panepinto (1911), Bernardino Verro (1915), Giovanni Zangara e Giuseppe Rumore (1919), Nicola Alongi e Giovanni Orcel (1920), Salvatore Carnevale (1955) furono uccisi in quanto capi "irriducibili" del movimento contadino. L'assassinio (1978) di Peppino Impastato, un altro "irriducibile" che però non fu mai un capo e si limitava a svolgere attività politica, fu opera di Cosa Nostra (il boss Badalamenti, droga, 1978) quando già la vecchia mafia era fuori causa
  • se Giuliano avesse commesso un'infamia come la strage di Portella delle Ginestre, sarebbe stata la mafia stessa ad eliminarlo per non esserne infangata, o a consegnarlo alla polizia, come usava da secoli per sbarazzarsi dei briganti divenuti troppo "ingombranti".


In realtà l'episodio è perfettamente in linea con il terrorismo made in USA e con i suoi gorilla locali. La strage era programmata da circa un anno, per il caso di vittoria elettorale del Fronte popolare, allo scopo di provocare una reazione delle sinistre che "giustificasse" la messa fuori legge del PCI e magari un colpo di Stato, già progettato dalla CIA. Pare che all'azione avessero partecipato agenti della CIA (1), insieme a sei mafiosi, ai quali l'ispettore di polizia Messana aveva consegnato sei mitra Beretta calibro 9; infatti dalle perizie balistiche sarebbe risultato che le vittime erano state colpite da proiettili di calibro 9, mentre la banda di Giuliano aveva armi di calibro 6,5. (2)
La vittoria elettorale dei clerico-fascisti, nel 1948, evitò il ricorso immediato a mezzi estremi; a questi si giunse vent'anni dopo, quando di nuovo si prospettò un'avanzata dei partiti di sinistra e subito cominciò la serie di stragi del "terrorismo nero".

Nel mese successivo Giuliano distrusse 6 sezioni del PCI, che formò una banda di "partigiani" con il compito di catturarlo e fargli confessare "con qualsiasi mezzo" chi erano i mandanti della strage. L'impresa fallì, boicottata dalla popolazione (3).
Nell'aprile del '48, con un manifesto, Giuliano invitò la popolazione a votare per la DC, che in quella zona triplicò i voti.
Dopo l'approvazione dello Statuto regionale (che fu addirittura anteriore a quella della Costituzione italiana), il MIS diventò inutile; dopo la vittoria elettorale della DC nel 1948, Giuliano diventò inutile e imbarazzante, dato il rischio che rivelasse i suoi rapporti con la DC e con il governo italiano.
Fu abbandonato dalla CIA, dalla DC e dalla mafia ed il governo decise di sbarazzarsi di lui. L'esercito, inviato ad occupare la zona di Montelepre, giunse ad arrestare tutti gli uomini del paese, ma l'omertà della popolazione (e probabilmente anche il suo sostegno attivo alla banda Giuliano) fu assoluta. Strana solidarietà, si direbbe, se la gente avesse creduto che la banda di criminali aveva sparato su donne e bambini.
Nel 1950, il suo luogotenente Gaspare Pisciotta lo uccise, d'accordo con i Carabinieri, che poi trasportarono il cadavere nel cortile di una cascina e sostennero di avere ucciso Giuliano mentre tentava di fuggire (però non furono trovate tracce di sangue). Pisciotta fu arrestato pochi giorni dopo.
Per fare di Giuliano un eroe popolare perfetto non poteva esserci di meglio che la sua morte per mano di un traditore. Non mancò molto che diventasse per il popolo un nuovo – e più credibile – Garibaldi. In quegli anni tutte le edicole siciliane vendevano per poche lire certi libriccini del genere La Vera Storia di Salvatore Giuliano, ricchi di episodi eroici ed erotici, in cui il Bandito veniva ricevuto nelle ville di certe "contesse" che gli si offrivano ignude, o infliggeva punizioni esemplari ai vili ed ai traditori (magari i cornutissimi mariti delle medesime "contesse").
Al processo contro la banda, Pisciotta dichiarò di avere ucciso Giuliano, d'accordo con il ministro Scelba e con il colonnello Luca, capo delle forze anti-banditismo in Sicilia. Affermò di aver partecipato alla strage di Portella delle Ginestre e parlò delle promesse fatte a Giuliano per convincerlo a eseguire la strage:
"...Coloro che ci hanno fatto le promesse si chiamano Bernardo Mattarella, il principe Alliata, l'onorevole monarchico Marchesano e anche il signor Scelba, ministro dell'interno. I primi tre si servivano dell'on. Cusumano Geloso come ambasciatore... il tramite fra la banda Giuliano e il governo di Roma era l'on. Marchesano ...".
Pisciotta sosteneva di aver raggiunto un accordo con il colonnello Luca, nel senso di uccidere Giuliano in cambio dell'impunità. Luca sarebbe stato autorizzato dal ministro Scelbaad accettare tale accordo. Pare che queste circostanze ed altre siano coperte dal segreto di Stato.
Dopo queste dichiarazioni Pisciotta aveva paura di essere ucciso ed ottenne di essere isolato in una cella, dove suo padre stava con lui ed assaggiava per primo tutto il cibo che gli veniva portato. Ciò nonostante, nel 1954 fu avvelenato da un caffè alla stricnina. Morì meno di un'ora dopo, senza aver potuto testimoniare nel processo per la strage.
In seguito, sua madre scrisse una lettera ai giornali:
"...mio figlio Gaspare non potrà più parlare e molta gente è convinta di essere al sicuro; ma chissà, forse qualche altra cosa può venir fuori".
Suo fratello tentò di far pubblicare una sua autobiografia (forse scritta in carcere), ma il documento sparì misteriosamente. Per l'uccisione di Pisciotta nessuno è stato mai processato.







Note, riferimenti, link
(1) Atti desecretati della CIA, La Repubblica 10/2/2003.
(2) fonte: Wikipedia, voce "Savatore Giuliano" (da verificare)
(3) fonte: testimonianza diretta di Michele Savi, uno dei "partigiani".

La vicenda di Giuliano è raccontata in un film di Francesco Rosi ("Salvatore Giuliano", 1962), una delle opere migliori del cinema italiano.